Anno 5 - N. 15/ 2006
Nuova luce e nuovi colori illuminano le cattedrali e le dimore del nord
La grande pittura dei Primitivi fiamminghi
Per il pittore del nord la descrizione minuta ed attenta, quasi lenticolare, di ogni dettaglio, dai fiori di un prato ai gioielli della Vergine, diventa testimonianza e inno di gloria a Dio creatore
di di Maria Giuseppina Malfatti Angelantoni
La deposizione dalla Croce (particolare, 1435) - Rogier Van Der Weyden (Tournai, 1400 - Bruxelles, 1464)
Madrid, Museo del Prado
Agli inizi del ‘400, contemporaneamente al grande rinnovamento artistico fiorentino, nasce nelle Fiandre la straordinaria pittura dei maestri fiamminghi. E’ un’arte nuova che si concretizza nella produzione di tavole sulle quali soggetti religiosi o ritratti vengono rappresentati in composizioni fatte di linee eleganti e ricche di colore, sottolineato ed esaltato da una luce che trasforma le immagini di realismo estremo, in immagini astratte situate fuori del tempo e dello spazio.
Questo modo nuovo di dipingere, nuovo anche nella tecnica pittorica che è quella dell’olio su tavola, sembra nascere all’improvviso, ma è preparato invece dall’opera dei raffinati miniatori franco-fiamminghi che vivono nelle corti francesi fino a quando gli inglesi non li costringono a fuggire e a ritornare in patria,: siamo al tempo della Guerra dei Cento Anni. Insieme a loro lasciano la Francia per le Fiandre i ricchi mercanti e banchieri italiani che costituiranno, insieme ai duchi di Borgogna, l’élite della committenza colta ed esigente dei pittori fiamminghi. Faranno parte della committenza comunque anche classi borghesi medie, le amministrazioni cittadine e il clero a vari livelli.
L’arte della miniatura, che in Francia si era arricchita di apporti italiani provenienti dalla sede papale di Avignone, sarà quindi alla base della pittura dei “Primitivi Fiamminghi”, come verranno chiamati questi pittori che operano nel ‘400 nella regione, ora corrispondente al Belgio, che noi semplificando chiamiamo tutta Fiandre, ma che in verità era composta anche da altri piccoli stati.
Questo territorio, in cui si erano sviluppate le ricche città mercantili di Bruges, Gand, Bruxelles, Anversa ed altre, dalla fine del ‘300 apparteneva per matrimoni, eredità ed acquisizioni ai duchi di Borgogna che per volontà e con l’autorizzazione del re di Francia avevano costituito uno stato indipendente all’interno del regno.
L’innovativa pittura dei Primitivi fiamminghi è comunque ancora influenzata dallo stile gotico internazionale e si differenzia dalla contemporanea pittura toscana per le diverse premesse culturali e per la diversa visione del mondo che caratterizzano la Firenze degli umanisti e le Fiandre della Devotio Moderna. In Toscana i princìpi dell’Umanesimo portano alla creazione di opere nelle quali l’uomo è misura di tutta la realtà, mentre nella pittura fiamminga è ancora presente il concetto medioevale dell’uomo in rapporto di dipendenza da Dio.
Le opere fiamminghe che appaiono segnate da naturalismo e realismo fortissimi, sono in verità molto più ricche delle nostre di spiritualità e di religiosità e per il pittore del Nord la descrizione minuta ed attenta, quasi lenticolare, di ogni dettaglio, dai fiori di un prato ai gioielli della Vergine, diventa testimonianza e inno di gloria a Dio creatore.
La bellezza e il fascino della pittura fiamminga dipendono anche dalla preparazione materiale delle tavole, tagliate e stagionate secondo regole ben precise, su cui lo strato preparatorio bianco di carbonato di calcio dona maggiore luminosità e trasparenza allo strato pittorico. Le tavole di supporto, preparate accuratamente insieme alla cornice, che spesso ne è parte integrante (su questa veniva scritto il nome dell’autore e l’anno di esecuzione) sono tutte in quercia del Baltico chiamata però sempre “quercia d’Olanda”.
Il severo controllo da parte delle corporazioni d’arte e mestieri sulla produzione di carpentieri, falegnami, decoratori e pittori fu certamente determinante nell’ottenere quell’esecuzione così accurata che caratterizza le opere dei Primitivi fiamminghi.
Autore ed esponente insuperato della straordinaria rivoluzione della pittura fiamminga è Jan van Eyck che nasce come pittore miniatore; a lui viene sempre associato il fratello Hubertus, ora però dai più ritenuto una figura leggendaria. Jan van Eyck, che lavora soprattutto a Bruges, è il pittore del duca di Borgogna Filippo il Buono per il quale compie anche viaggi diplomatici attraverso l’Europa; Jan fu certamente in Boemia e in Italia oltre che in Portogallo e Spagna, le sue opere testimoniano la profonda conoscenza che egli ebbe del paesaggio delle regioni mediterranee e la presa visione di opere note e ben documentate, ancora esistenti in questi Paesi.
Jan van Eyck è artista, ricercatore e scienziato, attento osservatore della realtà che lo circonda, la riproduce con amore e fedeltà in uno spazio definito dalla prospettiva aerea, e la illumina con una luce immobile, trascendente. La composizione obbedisce a schemi ancora medioevali, ma rivisitati e arricchiti da contenuti profondi e carichi di spiritualità e di simbolismo.
La sua tecnica è di altissimo livello, a partire dal disegno sottostante che è stato in anni recenti rivelato e studiato con la riflettografia agli infrarossi. Jan van Eyck non è l’inventore della tecnica della pittura ad olio come lo dichiara il Vasari (che lo chiama Giovanni di Bruggia), ma è certamente colui che la perfeziona con il sapientissimo uso delle velature che, insieme alle lacche, alleggeriscono gli strati pittorici, diventando così questi permeabili alla luce.
La pittura di Jan van Eyck appare in effetti come illuminata dal di dentro.
Jan van Eyck è il pittore che inventa invece il ritratto moderno, col volto non più di profilo, secondo il modello della numismatica aulica antica, ma di tre quarti, “al naturale”, in contrasto con lo sfondo scuro. Van Eyck è l’unico pittore fiammingo del ‘400 che dipinga ritratti senza i Santi.
Per lui il valore dell’immagine è quello della “memoria” basata sulla fisionomia della persona ritratta della quale però non traspare alcun sentimento, alcun tratto del carattere. Nei suoi ritratti è accentuato il valore spirituale dell’uomo, la sua natura eterna, il volto quale semplice riflesso dell’immortalità della sua anima. Nel campo della ritrattistica Jan van Eyck sarà maestro a tutti i pittori fiamminghi ed italiani che dopo di lui si cimenteranno in questo campo.
Oltre ai ritratti van Eyck realizzò molte opere sia a soggetto religioso, come grandi polittici per le cattedrali e piccole tavole per la devozione privata, sia a soggetto profano come scene allegoriche. Purtroppo molti dei suoi dipinti, in particolare quelli eseguiti per il Duca di Borgogna, che comprendevano anche pitture murali, sono andati perduti.
Van Eyck fu conosciuto molto presto anche in Italia dove le sue opere arrivarono grazie agli acquisti dei mercanti italiani in terra di Fiandra e grazie al collezionismo dei sovrani angioini ed aragonesi a Napoli e in Sicilia.
La più bella e la più nota fra le opere di questo artista è certamente il grande polittico dell’Agnello Mistico nella cattedrale di San Bavone a Gand, dove in una complessa rappresentazione, che comprende la Terra e il Cielo, è narrata la “historia salutis” dalla caduta dei Progenitori alla redenzione di tutto il genere umano attraverso il sangue dell’Agnello. Questo grande polittico in anni recenti è stato trasportato, per motivi di sicurezza, dalla cappella originaria per la quale il pittore aveva studiato anche gli effetti di luce con riflessi ed ombre, ad una cappella bunker nella controfacciata della cattedrale.
Ha perduto in particolare, a causa della teca in cui è fissato, il fascino del “disvelamento” con l’apertura e la chiusura delle ante mobili come avveniva in passato nei vari momenti liturgici, ma è rimasto pur tuttavia motivo, anche da solo, di un viaggio nelle Fiandre. Per questo dipinto non ci si può esimere dalla definizione di meraviglioso.
Altre opere di van Eyck conosciute e di grande fascino sono “Le Nozze Arnolfini” e “L’Uomo dal Turbante” alla National Gallery di Londra, “La Vergine e il Canonico van der Paele” e il “Ritratto di Margaretha van Eyck” al museo Groeningen di Bruges. In Italia l’unico dipinto di van Eyck si trova alla Galleria Sabauda di Torino, si tratta delle “Stigmate di San Francesco”.
Due grandi personalità artistiche, affini fra loro, s’impongono nel ‘400 insieme a van Eyck: sono il Maestro di Flémalle, da identificarsi con Robert Campin, e Rogier van der Weyden. Si tratta di pittori che creano opere di rarefatta bellezza e di grande spiritualità e, pur successivi anche se di poco a van Eyck, sono molto più di lui ancora fortemente legati all’iconografia ed alla composizione medioevali, influenzati entrambi dalla scultura monumentale delle cattedrali gotiche fiamminghe.
Lo stile del Maestro di Flémalle e di van der Weyden sarà un punto di riferimento per molti altri artisti fiamminghi e solo verso la fine del secolo si determinerà in loro un allontanamento da quegli stilemi ormai troppo rigidi, per un avvicinamento alla contemporanea pittura italiana, soprattutto a quella veneta e toscana.
Sono da ricordare anche i maestri Thierry Bouts, Petrus Christus, Hugo van der Goes, Hans Memling, ed altri, ma per loro sarebbe in verità necessaria una trattazione a parte.
La grande pittura dei Primitivi fiamminghi avrà un riflesso notevole sull’arte di tutti i Paesi europei, dall’Italia alla Francia alla Spagna dove molti pittori incuriositi e affascinati da quel modo nuovo di dipingere cercheranno di imitarne e riproporne la bellezza e l’incanto.
Da noi il più grande degli artisti fiammingheggianti sarà l’elegante e profondo Antonello da Messina che, arrivato in modo ancora misterioso alla conoscenza non solo dello stile e dell’iconografia, ma anche della tecnica perfetta dei maestri fiamminghi, coinvolgerà su questa strada il raffinato Giovanni Bellini. Non resteranno indifferenti alla lezione fiamminga neppure il Mantegna e Leonardo e sarebbe quanto mai fecondo un approfondimento sulle loro acquisizioni e sui loro contatti con l’arte del Nord, di cui già molto è stato indagato e conosciuto, ma che ancora ha ambiti oscuri e incomprensibili.
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