Anno 5 - N. 14/ 2006


Storia della Medicina

L’Ippocrate pergameno Claudio Galeno

Medico e filosofo, autore di oltre novemila pagine di testi scientifici, Galeno è stato indubbiamente, accanto ad Ippocrate, la figura più di spicco della medicina dell’antichità. Un’autorità durata un millennio e mezzo

di  Francesco Piscitello



Capilettera dal codice di Dresda (1560 ca.)

Sächsische Landesbibliothek, Dresda

Galileo (in piedi) illustra i suoi rimedi a otto studenti.Ancora oggi vengono chiamati "galenici" i rimedi preparati direttamente dal farmcista.


Nella storia della medicina occidentale la figura di Claudio Galeno è seconda, per fama ed autorità, soltanto a quella di Ippocrate.
Nato a Pergamo nell’anno129 della nostra era, viene avviato agli studi filosofici dal padre, un facoltoso e colto architetto di nome Nicone. Una notte Asclepio, il dio della medicina, appare nel sonno a Nicone: il sogno viene interpretato come un invito per il giovane Galeno, che ha diciassette anni, ad accostarsi agli studi medici. Seguita l’indicazione divina ed apprese le fondamentali nozioni dell’arte con Sativo, uno studioso di anatomia, e col medico ippocratico Stratonico si reca a Smirne dove sarà allievo di Pelopide, poi ad Alessandria, dove approfondisce la conoscenza dell’anatomia, per tornare di nuovo a Pergamo, a 28 anni, accompagnato già da grande fama. Nella sua città è nominato medico dei gladiatori del Sommo Sacerdote, carica ambitissima per le grandi opportunità di importanti contatti sociali. Nel 162 è a Roma.
Nella città caput mundi il giovane medico (ha solo 33 anni) miete successi significativi tanto come studioso - sono celebri le sue dimostrazioni anatomiche pubbliche eseguite su animali - che come clinico e le numerose guarigioni di eminenti personalità affidatesi alle sue cure (in particolare quella del filosofo Eudamo) gli valgono l’ingresso nella Roma che conta: i circoli senatoriali vicini alla corte imperiale. Inevitabile, l’invidia dei colleghi si fa sentire e la vita a Roma diviene ogni giorno più difficile tanto da indurlo, nel 166, a tornare a Pergamo. Intanto nella città imperiale facevano la loro comparsa le prime avvisaglie di una grande epidemia, forse di vaiolo (la “peste di Antonino”) e Galeno fu sospettato dai malevoli colleghi, non si sa con quanta ragione, di aver voluto semplicemente mettersi in salvo. Ma nell’inverno del 168 Lucio Vero e Aurelio Antonino lo raggiungono con un’ambasceria ad Aquileia, dove in quel momento si trova, invitandolo a tornare a Roma. Da questo momento, per altri trentanove anni - morirà nel 201, non sappiamo se a Roma o a Pergamo - vivrà stabilmente nella città dei Cesari, alternando l’attività professionale con la stesura delle quattrocento opere (secondo alcuni, seicento) una parte cospicua delle quali è andata distrutta nell’incendio del tempio della Pace nelle cui vicinanze, ci informa il Pazzini(1), esistevano numerose librerie, depositarie dei suoi scritti.


LO SCIENZIATO

Fra i principali interessi scientifici di Galeno va senz’altro ricordata l’anatomia, tema sul quale scrisse i nove libri che compongono le Administraciones anatomicae, redatte in greco come tutte le sue opere: nel 1906 furono scoperti altri sei libri della stessa opera, nel testo arabo nel quale erano stati tradotti in età medioevale.
Naturalmente i risultati dell’osservazione del corpo animale - unica possibilità a quel tempo di studiare la forma degli organi e la loro struttura - non erano immediatamente trasferibili all’uomo ed infatti Galeno commette numerosi errori: per esempio, descrive l’utero umano uguale a quello bovino.
Tuttavia non spaccia mai le sue descrizioni come frutto di osservazione diretta (e non solo per onestà intellettuale, giacché praticare la dissezione di cadaveri umani costituiva al suo tempo, se non un crimine vero e proprio, quanto meno un’azione gravemente disdicevole e dunque inconfessabile) ma le giustifica con l’argomentazione che la morfologia degli organi è in rapporto con la funzione perché la natura, come scrive in chiare lettere nel settimo libro delle Administraciones, ha predisposto le diverse parti del corpo avendo a mente la funzione che era loro assegnata. Per questo non è necessario aver visto un utero umano per descriverlo: basta aver visto un utero di vacca - che di regola partorisce un solo nato, come la donna - per sapere che quello umano non può essere diverso (De dissezione vulvae).
In campo anatomico e fisiologico, che giustamente Galeno vedeva legati, sebbene come effetto di un principio teleologico estraneo alla visione deterministica moderna, spicca la concezione della circolazione del sangue che ha resistito pressoché immutata fino alle soglie dell’età moderna. In realtà, il termine “circolazione”, riferito al movimento del sangue nei vasi della concezione galenica, è scorretto e può essere legittimamente impiegato, nella descrizione di questo evento, solo dopo gli studi di Cesalpino portati a definitivo compimento da William Harvey: il percorso del sangue è circolare, nel senso che, spinto dall’azione del cuore, percorre arterie e vene sempre nello stesso senso fino ad arrivare al punto da cui è partito per compiere di nuovo lo stesso percorso. L’idea galenica è invece che il sangue, prodotto nel fegato, percorra le vene che da lui prendono origine con un moto ondoso di va e vieni verso gli organi del corpo portando a quelli lo spirito naturale prodotto dell’elaborazione epatica del nutrimento che il fegato riceve dall’intestino.
Nel ventricolo sinistro il cuore mescola il sangue pervenutogli dal ventricolo destro, col quale è in comunicazione, con il pneuma che gli giunge dai polmoni attraverso le vene polmonari, dando luogo allo spirito vitale che distribuisce ai vari organi: questi ne traggono la forza che li fa agire e lo stesso calore. Nel cervello invece avviene la produzione dello spirito animale a partire dallo spirito vitale ricevuto da specifiche arterie: lo spirito animale si diffonde a tutto il corpo attraverso i nervi (considerati ancora come dei condotti) rendendo possibili il movimento, le funzioni degli organi di senso e quella psichica del cervello.


IL MEDICO

Galeno accoglie i presupposti ippocratici sui quali si fonda la salute e la malattia, ossia la teoria - da lui ulteriormente elaborata con più dettagliate suddivisioni e precisazioni - dei quattro umori: sangue, flegma, bile gialla, bile nera, a loro volta prodotti dall’organizzarsi, nel corpo, dei quattro elementi (aria, acqua, terra, fuoco) e delle quattro qualità (caldo, freddo, umido, secco). In condizioni di salute, tra i quattro umori vige un delicato equilibrio il cui alterarsi costituisce lo stato di malattia.
Queste premesse dottrinarie non possono certamente spiegarne l’abilità clinica che fu invece sicuramente ragguardevole: basterebbe, per convincersene, l’episodio del sofista persiano, citato dal Pazzini (2).
Questo paziente era stato colpito da una pressoché completa abolizione della sensibilità delle due ultime dita di una mano e di metà del medio e a nulla erano valsi rimedi emollienti ed astringenti applicati da altri medici alle dita stesse. Galeno, con accurata indagine anamnestica, poté appurare che, tempo prima, il filosofo era caduto riportando una violenta contusione al dorso. Ne dedusse uno stato infiammatorio post-traumatico del midollo: era lì, sulla sede di quel trauma, da nessuno valorizzato, che si dovevano porre i rimedi. Emollienti e riposo guarirono rapidamente il paziente.
Se l’acutezza della riflessione fondata sulla meticolosità dell’indagine costituivano la base dell’abilità diagnostica, quella terapeutica si giovava anche di una profondissima conoscenza dei rimedi naturali che egli sapeva associare tra loro con grande perizia: tuttora vongono chiamati prodotti galenici quelli che il farmacista prepara estemporaneamente sulla base della ricetta del medico definendo le proporzioni dei diversi componenti della miscela.
La base della terapia è rigorosamente allopatica, contraria contrariis e, poiché i medicamenti provengono dalla natura e dunque sono loro stessi prodotto dei quattro elementi forniti delle quattro qualità, occorrerà prescriverli in modo (eventualmente mescolati opportunamente tra loro, come nella famosa theriaca) da contrastare, con le loro caratteristiche, le caratteristiche della malattia.
Esiste ancora traccia di tutto ciò nella medicina popolare: la cicoria rinfresca, il peperone riscalda... .
Il salasso godeva della massima considerazione, al punto da venire descritto, nelle sue modalità di esecuzione e nelle sue indicazioni, in un trattato - De venae sectione adversum Erasistratum - che contiene una vivace requisitoria contro il pur ammirato Erasistrato che invece era assai contrario a questa pratica.
Contrariamente ad un’opinione che ha avuto in passato meno credito di quanto ne riscuota oggi, Galeno fu anche eccellente chirurgo.


LA FAMA DI GALENO

La fama del medico di Pergamo, grandissima nel suo tempo, durò intatta fino all’inizio dell’era moderna. A questa fama giovò certamente la non piccola quantità di precetti, ricette, osservazioni utili per la medicina pratica dovute non solo alla personale esperienza ma anche al sistematico lavoro di raccolta e di rielaborazione delle opere di molti medici del passato: ma a questo si deve indubbiamente aggiungere il portato del suo pensiero filosofico.
Come già osservato, la concezione galenica della natura, specialmente per ciò che riguarda l’uomo, è rigorosamente teleologica. La natura ha un disegno che realizza mediante strutture adeguate: una funzione corporea viene svolta da un organo e quest’organo viene ideato, costruito in ordine a questo, persino oltrepassando la barriera di specie: l’utero umano, mai visto, non può che essere rigorosamente identico all’utero bovino più volte osservato. Questa visione teleologica, accanto alla sincera fede religiosa di Galeno (la vera pietà, sostiene nel De usu partium, consiste nel riconoscere la somma sapienza, l’onnipotenza, l’amore e la bontà del Padre di tutti gli esseri) gli conferivano immense credenziali per venire riconosciuto, durante tutto il medioevo cristiano ed anche oltre, un punto di riferimento sicuro e indiscutibile.


NICONE DI PERGAMO
Nicone, architetto, astronomo, matematico di Pergamo volle chiamare il figlio Galenòs, ossia “dolce, mite, sereno”, qualità che si contrapponevano a quelle della madre la quale, come riferisce lo stesso Galeno (1), era una donna iraconda che gridava incessantemente e, nell’impeto della collera, giungeva a mordere le sue ancelle.

GALENO HA SEMPRE RAGIONE
L’autorità del medico di Pergamo fu assoluta fino alla fine del rinascimento ed il porla in discussione poteva rappresentare un pericolo almeno per la reputazione, se non anche più grave. Ad esempio, tutti gli studiosi di anatomia fino al XIV secolo (1) - dato che la concezione galenica della circolazione prevede che il sangue debba passare dal ventricolo destro al ventricolo sinistro, attraversando il setto che separa le due cavità - osservano nel setto stesso un forame che è del tutto inesistente se non in alcune gravi malattie congenite del cuore.
Lo stesso Berengario da Carpi, forse il maggiore anatomico pre-vesaliano, non si spinge più in là dell’asserzione che questo foro non è nettamente visibile nell’uomo ed occorre arrivare al 1553 con Miguel Servet (nel mondo occidentale: tra gli arabi lo aveva già fatto Ibn an-Nafis nel sec. XIII) perché la pervietà del setto interventricolare venga negata. Tuttavia Riolano, ancora nel sec. XVII, continua a vedere quel forame ed asserisce che, qualora esso non risulti visibile, ciò si deve alle modificazioni subite dal corpo umano nel tempo trascorso dall’epoca del pergameno alla sua: non aveva sbagliato Galeno, era l’uomo ad essere cambiato!

LA PRATICA ANATOMICA
All’epoca di Galeno la dissezione anatomica umana era possibile in pochi luoghi del mondo conosciuto e pare che solo ad Alessandria, secondo la sua stessa testimonianza, esistesse uno scheletro umano completo. La sua grande conoscenza dell’anatomia proveniva dalla dissezione animale: una sola volta ebbe modo di osservare un cadavere umano. Si trattava di un corpo, ormai in stato di putrefazione, che la piena di un fiume aveva strappato dal sepolcro collocato sulla sponda e ributtato a riva (1).