Anno 1 - N. 1 / 2002
STORIA DELLA MEDICINA
LA SCUOLA MEDICA DI SALERNO
Meta di malati illustri, di studiosi, di giovani desiderosi di apprendere l'arte dai medici famosi che vi esercitavano il loro magistero, La Scuola Salernitana fu, durante il medioevo, l'istituzione medica più prestigiosa di tutto l'occidente cristiano
di Francesco Piscitello
Miniatura di un manoscritto del sec. XI, raffigurante la tecnica operatoria delle: emorroidi, del polipo nasale e della cataratta
Britisch Museum, Londra
Meta di malati illustri, di studiosi, di giovani desiderosi di apprendere l’arte dai medici famosi che vi esercitavano il loro magistero, la Scuola Salernitana fu, durante il medioevo, l’istituzione medica più prestigiosa di tutto l’occidente cristiano.
Il medioevo fu tempo di pellegrini. Uno di questi - tale Antonio, discendente dalla nobile famiglia romana dei Flavi - fu sorpreso una notte da un violento temporale: trovato riparo sotto un arco dell’acquedotto romano nei pressi della città di Salerno vi incontrò un tale Areteo(1), proveniente da Alessandria, e gli tese amichevolmente la mano. Areteo si avvide di una ferita nel braccio di Antonio e voleva trattarla con un empiastro di melissa. Il ferito si oppose: preferiva coprirla con carne di gallo nero.
Presto la discussione si allargò ad altri due uomini, sopraggiunti nel frattempo: Isacco, un ebreo proveniente da Betania, e Abdul, un arabo di Aleppo. Isacco proponeva, in luogo della melissa di Areteo e della carne di gallo di Antonio, issopo e nepitella, mentre Abdul avrebbe preferito della ruta.
La discussione fece sì che i quattro si riconoscessero come medici: e poiché nessuno di loro aveva una meta definita, decisero di fermarsi e di mettere in comune le loro conoscenze a beneficio dei malati e di farne parte a chi volesse apprenderle: era nata la Scuola medica di Salerno.
Si tratta di una leggenda(2), naturalmente, sebbene il Mazza, un cronista salernitano del secolo XVII, mostri di credervi come ad una verità storica, ricavata peraltro da un antico manoscritto, la Cronica del Liceo Salernitano, di un Elino ebreo. Scrive Antonio Mazza che primi ad insegnare medicina in Salerno furono i maestri Helinus, che teneva le lezioni in lingua ebraica, Pontus in greco, Adela in arabo e Salernus in latino: i quali, mutato nomine, sono ancora i personaggi della leggenda riportata.
Per molteplici ragioni - chiaramente esposte dal principale studioso di quest’argomento, il De Renzi(3) - tutto ciò non sarebbe stato possibile: basti pensare, ad esempio, che in quell’epoca l’insegnamento era interdetto agli ebrei e che, prima di Costantino Africano (1015 - 1087), non si ebbe in Salerno notizia della medicina araba, mentre già nei primi anni del secolo precedente un medico della Scuola aveva soggiornato nella corte francese di Carlo III il Semplice.
Se questi medici fondatori non sono mai esistiti come persone fisiche, la Scuola stessa fu però sempre aperta al sapere che in essi si incarnava, un sapere medico proveniente dalle diverse civiltà che fiorivano od erano fiorite sulle sponde del Mediterraneo.
Nell’alto medioevo l’esercizio della medicina, in Italia, è prevalentemente conventuale. E questo per almeno due motivi: innanzitutto, nella penisola, percorsa da contese feroci fra Ostrogoti e Bizantini, gli studiosi trovano asilo sicuro nel chiostro, protetto da una relativa inviolabilità; in secondo luogo, presso il convento, c’era quasi sempre un ospedale. Fin dall’epoca del primo cenobio, fondato in Egitto da S. Pacomio nel 315 d.C., l’assistenza ai malati è infatti dovere dei monaci, e si svolge dentro il convento e fuori di esso.
In Europa il primo centro importante di medicina monastica, che conoscerà un successivo impulso da parte dei Templari e dei Cavalieri di S. Giovanni, è Montecassino: San Benedetto, il fondatore, stabilisce infatti all’articolo 36 della sua Regola, che l’abbazia sia dotata di una “casa ospitale”. Annesso al chiostro si trova sempre un orto nel quale si coltivano i semplici, ossia erbe e piante medicinali il cui impiego trova la sua principale trattazione sistematica nell’opera di Dioscoride.
Accanto alla terapia medica trova posto, nel monastero, anche la chirurgia. Scavi eseguiti tra le rovine di antiche abbazie hanno tratto alla luce strumenti per flebotomia, per odontoiatria, pinze, raschiatoi ed altre suppellettili, mentre numerosi scheletri mostrano tracce di interventi: trapanazioni del cranio, trattamenti di fratture complesse e persino tracce di drenaggio osseo per il trattamento dell’osteomielite.
Nell’anno 847 Salerno diviene capitale di un principato longobardo indipendente. Una consistente colonia ebraica, un porto aperto ai traffici con l’oriente, la presenza di un’abbazia benedettina - custode, come molti monasteri, di antichi manoscritti - ne facevano un luogo ideale per un incontro, una sinergia di culture: la presenza dell’ospedale annesso al chiostro e l’estrema salubrità del clima, che richiamavano malati da molte parti, indirizzavano poi inevitabilmente quel crogiolo culturale verso la medicina. In questo contesto nasce la Scuola Salernitana.
Quando si parla di scuola non si deve ritenere che essa fosse, almeno nel periodo iniziale, uno studium, un’istituzione didattica organizzata: si trattava piuttosto di un insieme di medici la cui rinomanza attirava giovani desiderosi di apprendere da quei maestri. L’evoluzione verso una scuola nel senso pieno del termine non doveva raggiungere il suo compimento se non nel secolo XIII: le Constitutiones Regni utriusque Siciliae, emanate a Melfi nel 1231 da Federico II, disponevano che fosse vietato l’esercizio della medicina a chi non avesse conseguito l’approvazione, alla fine di un esame pubblico, di una commissione di maestri della Scuola.
Ai suoi albori e per una parte del primo periodo - detto “precostantiniano”: Costantino Africano fu il principale esponente del periodo successivo e forse di tutta la storia dell’istituzione - il carattere cenobitico-ospedaliero non rendeva differente la Civitas Hippocratica, come Salerno fu chiamata, rispetto all’organizzazione medica dell’epoca. Ben presto tuttavia la scuola si affrancò dalla tutela culturale religiosa per acquisire quel carattere strettamente laico che ne fu sempre la connotazione fondamentale.
Riferimenti culturali essenziali, in questa prima fase, sono il pensiero medico greco-romano (Ippocrate, Asclepiade, Galeno), alessandrino (Erasistrato, Erofilo), bizantino (Alessandro di Tralles, Ezio di Amida, Oribasio). Di questa influenza rimane traccia profonda nella prassi e nell’opera dei principali esponenti del periodo precostantinano: Garioponto, Petroncello, Alfano e la celebre Trotula.
La personalità più importante di questa fase fu forse Garioponto o Guarimpoto, vissuto nel decimo secolo, autore di un’opera, il Passionarius, nella quale si ritrovano, in forma condensata, Galeno, Alessandro di Tralles, Paolo di Egina, Teodoro Prisciano. Una curiosità del Passionarius è il primo riferimento a molte delle espressioni appartenenti al linguaggio medico ancora in uso: cauterizzare, gargarizzare, cicatrizzare, clisterizzare etc.
Contemporaneo di Garioponto, Pietro Clerico o Petroncello è autore di una Practica non dissimile, negli obiettivi e nella stesura, dal Passionarius e, come quello, esente da qualsiasi influenza del pensiero arabo, a conferma dell’origine autoctona della Scuola.
Alfano, già monaco a Montecassino e successivamente vescovo di Salerno, fu medico insigne ed autore di un De quattuor humoribus – un’opera di patologia e terapia, fondata sulla teoria degli umori: sangue, flemma, bile gialla, bile nera - e di un De pulsibus.
Uno dei medici salernitani più famosi del primo periodo della Scuola è una donna: Trotula. Costei fu moglie, forse, di Giovanni Plateario il Vecchio: così almeno ritiene il De Renzi condiviso, in epoca moderna, dal Bertini(4). Secondo altre opinioni, sotto questo nome si celano più medici di sesso femminile, sette mulieres salernitanae: Abella, Calenda, Costanza, Francesca, Guarna, Mercuriade, Rebecca (5).
A Trotula, sia essa o non una sola persona, si deve un De mulierum passionibus in, ante et post partum, che ha per oggetto la patologia ostetrica. Quest’opera tratta tutto ciò che riguarda la gravidanza, il parto, il puerperio, la cura del neonato ed anche il suo allattamento: la nutrice deve, per esempio, seguire una dieta speciale che eviti i cibi troppo salati, piccanti o che contengano aglio o cipolla. Fanno curiosamente parte del De mulierum passionibus anche le malattie dei denti e delle gengive e persino l’epilessia(6) .
La figura più rappresentativa del secondo periodo, quello dell’apogeo (che va dal secolo XI al XIV) è Costantino Africano, principale artefice dell’apertura di Salerno all’apporto della medicina araba.
Costantino nasce a Cartagine intorno al 1015: Pietro Diacono(7) riferisce dei suoi viaggi di studio in Siria, Caldea, India, Etiopia, Egitto.
Uomo di vastissima cultura, è studioso di medicina, filosofia, musica, geometria, grammatica, dialettica e conoscitore profondo delle lingue orientali. A Salerno è maestro di medicina e, con ogni verosimiglianza, segretario del duca Roberto il Guiscardo(8). Attratto dal chiostro, abbandona la vita secolare e viene accolto come monaco, tra il 1056 ed il 1060, da Desiderio, allora abate del monastero di Montecassino e futuro papa Vittore III, nell’abbazia. Vi morirà nel 1087.
La profondità e l’estensione della dottrina del magister Orientis et Occidentis, come Costantino fu chiamato, si manifesta in una vastissima produzione letteraria: traduce col titolo di Pantegni (deformazione medioevale di Pantechne, “tutta l’arte”) il Kitab al-Malaki di Alì ibn al-Abbas, dove è contenuto tutto ciò che il medico deve conoscere; il trattato sulle urine di Ishaq al-Israili; le Isagoghè di Giovannizio; la versione araba degli Aforismi di Ippocrate e l’Ars Parva di Galeno; scrive un Graduum Simplicium, una Dieta ciborum, trattati di anatomia, di chirurgia ed altro ancora.
Non è insolito, nell’epoca della quale si tratta, che molti membri della stessa famiglia, anche di diverse generazioni, si dedichino alla pratica della medicina. Fra queste dinastie spicca, in Salerno, quella dei Platearii: dal già menzionato Giovanni il Vecchio - supposto marito di Trotula - a Matteo il Vecchio (da identificarsi forse, come ritiene il Pazzini (9), con l’Arcimatteo autore di una Practica), fino a Giovanni III, il cui De Simplici Medicina fu considerato, per tre o quattro secoli, non meno importante dell’opera di Plinio e di Dioscoride, per finire a Matteo II il Giovane, che scrisse le Glossae all’Antidotarium di Nicolò Salernitano.
L’Antidotarium è una raccolta di ricette e di prescrizioni mediche formatasi sulla pratica quotidiana al letto del malato. La forma più antica di quest’opera, progenitrice di tutti gli antidotari successivi e che fu tenuta per fondamentale per molti secoli, è andata smarrita: ne rimane una versione cinquecentesca, ampiamente rivista e rimaneggiata da un medico francese, Nicolò Prèvost, nota come Antidotarium Nicolai Praepositi e per lungo tempo erroneamente attribuita a questi.
Fra i maestri del secondo periodo spicca Cofone il Giovane, così detto per distinguerlo da un Cofone il Vecchio la cui esistenza è oggi messa in dubbio: forse si tratta della stessa persona. Cofone è autore di diverse opere tra cui una Anathomia porci, un breve trattato che contiene, tra le altre cose, la descrizione di “vasi lattei” dell’intestino, identificabili probabilmente con i vasi chiliferi, la cui trattazione dettagliata dovrà attendere il secolo XVII e Gaspare Aselli.
La tradizione - sebbene il Pazzini (10) ne discordi - vuole che appartenesse alla Scuola il maestro Ruggero Frugardo, autore di una Cyrurgia Magistri Rogerii, opera dalla quale deriva direttamente un altro trattato dallo stesso nome, la Cyrurgia di Rolando da Parma che di Ruggero fu allievo: i due trattati furono, per tre secoli, il riferimento fondamentale della chirurgia. Ma l’opera di gran lunga più nota redatta in questo periodo, un vero vademecum sanitario per gran parte del medioevo e del rinascimento, fu il Regimen Sanitatis.
Il Flos Medicinae Salerni, come viene anche chiamato il Regimen, è un poemetto in esametri ed in versi leonini a rima baciata del quale sono note numerosissime versioni: la più famosa, curata da Arnaldo da Villanova, consta di 362 versi ma se ne conoscono di assai più ampie (il De Renzi(11) ne cita una di 3520 !).
Il Regimen, che non ha un autore e si presenta come scritto da tutta la Scuola (Anglorum Regi scribit tota schola Salerni recita il primo verso), è dedicato ad un re d’Inghilterra sulla cui identità si è a lungo discusso ed ancora si discute: si tratta forse di Riccardo Cuor di Leone.
Sebbene contenga anche prescrizioni terapeutiche, il Flos Medicinae è piuttosto un insieme di suggerimenti a carattere igienico che, per la semplicità tanto del linguaggio col quale sono esposti quanto della loro esecuzione, sono utilizzabili sia dal medico che dal laico. Ed ancor oggi sono utilizzati: si rifà al Regimen Sanitatis il suggerimento della medicina popolare di curare i postumi mattutini di un’ubriacatura serale con una piccola dose della medesima bevanda alcoolica:
Si tibi serotina noceat potatio vini
hora matutina rebibas, et erit medicina.
Con il secolo XIV ha inizio il terzo ed ultimo periodo, quello della decadenza, anche se il prestigio della scuola rimarrà sempre elevato. Ma si tratta di un lustro derivante più dall’antica gloria che dalla sua importanza di fatto: in questo periodo non vi sono personalità comparabili con quelle di un Garioponto o di un Costantino.
Questa istituzione completamente laica, così come strettamente laica fu la cultura che la sostenne, una cultura che bandisce il pregiudizio, il dogma, per affidarsi all’esperienza ed alla razionalità, dovrà cedere il posto alle Università che un po’ dovunque nascono e si sviluppano in Europa ed il cui potere di attrazione comincia a competere con quello della Civitas Hippocratica. Alle Università, nelle quali troverà il proprio naturale sviluppo quell’organizzazione sistematica degli studi medici che a Salerno era nata, la Scuola passa, per così dire, il testimone. Finchè, in occasione del nuovo ordinamento dell’istruzione pubblica nel Regno di Napoli, Gioacchino Murat sopprime ufficialmente l’antico Studium di Salerno: è il 29 Novembre del 1811.
La Scuola era vecchia di mille anni.
una scuola laica nell’alto medioevo
La grande apertura verso il sapere medico di qualsiasi provenienza, integrato senza pregiudizi nel proprio corpus dottrinale e sottoposto soltanto al vaglio dell’esperienza, costituisce uno dei meriti fondamentali della Scuola Salernitana: fu conseguenza di quest’apertura se la medicina araba potè essere conosciuta in Europa, soprattutto attraverso le traduzioni di Costantino Africano.
Il contesto culturale nel quale viene esercitata la medicina durante tutto l’alto medioevo è prevalentemente religioso. L’ospedale del cenobio, dell’abbazia, è l’espressione istituzionalizzata dell’ottemperanza al precetto di curare gli infermi, una delle opere di misericordia alle quali è tenuto il cristiano. La medicina monastica, dunque, fa oggetto delle sue cure l’anima non meno che il corpo.
Ma da questa visione integrata - spirituale e corporea – dell’assistenza medica Salerno si affranca. Lo Studium è laico: obiettivo dell’azione del medico salernitano è curare (meglio ancora, prevenire: la Scuola è attentissima all’igiene) le malattie del corpo, lasciando all’uomo di religione la sollecitudine per le cose dell’anima che egli non sente come di propria pertinenza. Il carattere laico e indipendente della Scuola di Salerno non si oppone a che la medicina venga esercitata anche dalle donne, alcune delle quali godettero di grande reputazione: la fama di Trotula si estese ben oltre i confini del ducato, raggiungendo la stessa Inghilterra dove fu conosciuta come “dame Trot”.
Di quello spirito solidamente pragmatico che ha sempre ispirato la Scuola è un esempio eloquente il Regimen Sanitatis: questo piccolo elenco di regole pratiche, nelle quali la speculazione scientifica non pretende di esercitare alcun primato nei confronti dell’esperienza pratica - un concetto, per l’epoca, rivoluzionario - è ispirato ad un saldo buonsenso. Buonsenso che tocca il suo vertice quando avverte che, no-nostante la scienza dell’uomo,
...contra vim mortis non est remedium in hortis.
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