Anno 5 - N. 13/ 2006


Il matrimonio “segreto”di Giuseppe Verdi

Testimoni delle nozze sono il cocchiere e il campanaro

A Collonges-sous-Salève un minuscolo ridente villaggio della Savoia con al centro la chiesa parrocchiale

di Giuliano Tessera



Rosone sulla facciata della chiesa di San Martino a Collonges


Lasciarono la rada alle spalle e si diressero verso Carouge. La carrozza traballava un po’, ma procedeva spedita anche se la strada, lentamente, saliva ingrandendo così progressivamente la visione di Ginevra e del suo lago. Giuseppe Verdi e Giuseppina Strepponi, seduti uno di fronte all’altra, immersi nei pensieri e nei ricordi, lasciavano trasparire un po’ d’ansia, comunque, per ciò che si accingevano a compiere. Poco prima della frontiera con la vicina Savoia, dopo Plan des Ouates, si offrì alla loro vista l’immagine nitida del, castello dei Cavalieri dell’Ordine di Malta, poi, al curvone, l’antica distilleria, e poi via, rapidamente, verso il Salève, incombente e massiccio come non mai, nitido nella sfolgorante giornata estiva. Era il 29 agosto 1859.
Collonges-sous-Salève è incastonata ai suoi piedi: un minuscolo ridente villaggio con al centro la chiesa parrocchiale. E’ il luogo prescelto dai Verdi (anche Giuseppina, da tempo si faceva chiamare così, anche se non era ancora la legittima consorte del “cigno di Busseto”).
Dodici anni di convivenza, di gioie, dolori e infinite maldicenze, dovevano trovare ormai una logica conclusione: un legame giurato davanti all’altare. Le reciproche vicende personali, soprattutto quelle più drammatiche e tristi, passano in rassegna nelle loro menti.
Verdi aveva sposato il 4 maggio 1836 Margherita Barezzi e in quel periodo era in gestazione la sua prima importante opera: Oberto, Conte di San Bonifacio. Ma ciò che ora ritorna in tutta la straziante tragicità è la morte prematura dei figli: Virginia, a un anno e mezzo nell’agosto del ’38 e il secondogenito Icilio, nato l’11 luglio del ’38 e morto il 22 ottobre del ’39. E come se ciò non bastasse, anche la moglie Margherita che si spegne il 18 giugno del ’40, nel giorno del Corpus Domini.
“Ai primi di giugno la giovane mia compagna è colpita da violenta encefalite ed il 19 giugno 1840 una terza bara esce da casa mia! Ero solo..solo!…Tre persone a me care erano sparite per sempre: la mia famiglia era distrutta”. Così aveva scritto e così ricordava con dolore e nostalgia. Più che i successi dunque sono gli affetti familiari che riaffiorano, proprio in un giorno importante e gioioso.

Giuseppina, di fronte a lui, osserva dal finestrino lo scorrere lento della campagna circostante. Tuttavia, anche per lei le immagini sfumano e, in primo piano, si pongono i ricordi delle tre gravidanze avute nel pieno della sua carriera artistica, due portate felicemente a termine e una terza conclusa con un doloroso aborto causato probabilmente dallo stressante sovraccarico di lavoro cui si era sottoposta. L’immagine di Camillino, affidato ad una famiglia di Firenze e di Adelina proprio mentre Verdi si accingeva col Nabucco a diventare il vate d’Italia, si stagliano nitide nelle sua mente e nel suo cuore.

Le labbra di Giuseppina accennano, sommessamente, alcune note della difficile parte di Abigaille nel Nabucco a lei affidata:
“Anch’io dischiuso un giorno
ebbi alla gioia il cor,
tutto parlami intorno
udia di santo amor,
piangea dell’altrui pianto,
soffia dell’altrui duol”
Era però l’ostilità avvertita a lungo nel ritiro di Sant’Agata, nei confronti della sua persona e, di riflesso, contro quella di Verdi, che avevano reso la sua vita difficile, spesso insopportabile. E il peso di quella barriera di silenzio voluta non solo dai “Verdi”, ma dalla popolazione di Busseto faceva sembrare l’isolamento una vera e propria prigione.
La Traviata, opera lirica tratta dal dramma di Dumas figlio “La Dame aux Camelias”(composta in poco più di un mese) narra lo strazio di una donna punita in modo assurdo da una società “sorda a ogni deviazione sentimentale che urtasse contro una morale ortodossa”.
E non sarà un caso che nel il 16 marzo ’53 al teatro La Fenice di Venezia il pubblico non accennerà ad applaudire.
Ormai il campanile della chiesa è in vista e la carrozza si appresta a percorrere l’ultimo tratto in leggera salita.
Senza lusso, in assoluta riservatezza sempre ricercata da Verdi per celare gli aspetti più intimi e personali della sua vita agli occhi della curiosità e della indiscrezione, Giuseppe Verdi e Giuseppina Strepponi (la sua Peppina) si uniscono in matrimonio.
Verdi ha 46 anni, Giuseppina quasi 44.

Testimoni delle nozze sono il cocchiere e il campanaro e il rito viene celebrato dall’abate Mermillod, futuro vescovo cattolico di Ginevra (che sarebbe poi diventato cardinale) che trova anche il modo di allontanare con un pretesto il curato del villaggio. Non è dato di sapere se Verdi accennasse qualche nota al grande organo posto sopra il portale di ingresso, ma forse ne fu tentato anche perché quell’atmosfera raccolta e semplice gli ricordava molto Roncole e Busseto.
Poi escono di chiesa, finalmente allegri come ragazzi e nella piazzetta antistante, illuminata dal sole estivo si guardano intorno e non possono non gettare uno sguardo in alto verso la cima dell’enorme massiccio.
E’ ormai tempo di relegare i dolori del passato in un angolo della memoria e di mettere finalmente a tacere qualunque maldicenza li avesse d’ora in poi circondati.
Presto sarebbero venuti alla luce, Don Carlos, Aida, Messa da Requiem, Otello, Falstaff. Una straordinaria stagione di successi era alle porte: il “matrimonio segreto” avrebbe dunque favorito il dispiegarsi di un’incredibile unica immaginazione produttiva. Ora, però, via assieme verso Pietroburgo: La forza del destino li attendeva.



IMMAGINI
Rosone sulla facciata della chiesa di San Martino a Collonges.
Castello dei Cavalieri di Malta della Svizzera nei pressi del confine con la Savoia (oggi Francia).
Ritratti di Giuseppe Verdi (1859) e Giuseppina Strepponi (1834).
La casa natale di Giuseppe Verdi a Roncole (particolare), Achille Formis (Napoli, 1832 - Milano, 1906)