Anno 5 - N. 13/ 2006


L’arte di esporre l’arte

IL TEMPIO DELLE MUSE

Dal collezionismo degli eruditi rinascimentali alla moderna museografia

di Elisa Generoso



Veduta della villa “Il Museo” di Paolo Giovio

Giovanni Domenico Caresana (?). (Cureglia, 1574 c. - Riva San Vitale,1619)

Como, Pinacoteca Civica

Folle di giapponesi esausti, uomini donne bambini inserpentati in interminabili code, in gara per prendere il miglior posto davanti al capolavoro, prima dell’arrivo del gruppo-visitaguidata! E poi lo sconto comitiva, lo sconto battaglione, lo sconto pensionato, il biglietto intero... .
Nel frattempo, stessa ora, stesso giorno, dall’altra parte della città il museo del Risorgimento vive ancora l’eco dello sbadiglio dell’ultimo visitatore di due settimane fa, mentre il direttore museologo, nella sua torre di cemento, accuratamente aggiorna il catalogo della collezione... . Ecco qui presentato un bel paradosso. Nella stessa città da una parte apparati espositivi faraonici, ricche macchine, industrie della cultura che, anche se non sempre propongono contenuti interessanti, quasi sempre riescono ad accattivare il loro pubblico, dall’altra polverose scatole come sterili depositi, aperte sì ai visitatori, ma, per lo più, frequentate da ricercatori e specialisti; il primo caso, espressione di un’idea di museo che ha continuato e probabilmente continuerà a cambiare, il secondo, ricordo anacronistico del passato. Come è potuto accadere?
In passato il museo già sopportò tanti e tanti stravolgimenti. Le società, infatti, sono sempre state in continuo cambiamento ed il museo si dimostrò un flessibile e fedele strumento di accompagnamento, di rappresentazione delle differenti culture, confermando in questa attitudine la sua forza. Fin dagli inizi, ovvero fin dal Rinascimento, epoca in cui nacque. Allora i primi musei erano così lontani dai nostri, da non condividerne nemmeno il nome. Per lo più si trattava di collezioni private, di proprietà di signori ed eruditi spinti verso il collezionismo dalla riscoperta dell’antichità classica, dal desiderio e dalla necessità di creare un legame con quel mondo passato, in cui reinventare la propria cultura, i propri valori, in cui trovare la propria legittimazione. Queste collectanea, inizialmente, erano composte dai più disparati oggetti (code di drago, unghie di San Paolo e monete romane potevano ragionevolmente convivere sulla stessa mensola), senza che fossero presi in considerazione classificazione, catalogazione razionale, o presentazione museografica. Eppure, con queste collezioni si può parlare di nascita del museo, in quanto esse esprimevano l’esigenza dell’uomo di circondarsi di oggetti ai quali, proprio grazie al fatto di essere raccolti e conservati, veniva attribuito un valore culturale aggiuntivo. Le due funzioni che stanno alla base della nostra museologia, ovvero raccogliere del materiale cui viene attribuito un significato per poi conservarlo, erano già allora presenti, e tali rimarranno in tutti i passaggi intermedi della evoluzione del museo fino ad oggi. Quello che sempre mutò furono semmai i significati, che, di volta in volta, le differenti culture del nostro passato assegnarono al materiale raccolto. Sempre in periodo rinascimentale si sarebbe affermata da lì a poco, come conseguenza delle due precedenti, la terza funzione cui tuttora deve adempiere una struttura museale, ovvero esporre, mostrare il proprio contenuto. Infatti, a che cosa sarebbe servito costruire un’architettura di valori e di significati che il museo era chiamato a rappresentare, se questi ultimi non fossero stati resi accessibili alla società stessa per cui erano stati creati? Ovviamente il concetto di accessibilità del periodo rinascimentale ci risulta oggi alquanto relativo, ma è comprovato che tra signori, nobili, uomini di Chiesa fosse abituale la frequentazione, anche solo occasionale, delle collezioni ritenute più importanti, fatto che costituiva certamente un innegabile motivo di prestigio per il collezionista. Da qui, la necessità di esporre gli oggetti in una maniera il più possibilmente comprensibile per i visitatori, nonché fedele al sistema di valori che la collezione stessa voleva rappresentare. Esempi di gallerie, studioli, logge non mancavano, ma ci fu un museo, che non a caso per primo fu onorato di tanto nome, che adempì perfettamente a questa funzione espositiva e che mosse il primo passo verso un’idea di museografia in senso moderno, il Museo Gioviano, ideato da Paolo Giovio, medico umanista comasco vissuto a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento. Il Giovio, raccolta una collezione di ritratti di uomini illustri, decise, infatti, di costruire ex-novo una struttura espositiva in cui la collezione fosse compresa, organizzata ed interpretata secondo un significato che era lo stesso percorso espositivo ad indicare. Il successo dell’iniziativa fu immediato, i visitatori affluirono numerosi, tutti principi, gran duchi e personaggi di spicco dell’epoca, ed il museo Gioviano rimase per decenni un esempio illuminante in fatto di allestimento. Ormai il museo sapeva raccogliere, conservare, esporre il proprio contenuto, ma ancora non aveva acquisito la sua quarta caratteristica funzionale, quella che, in seguito, sarebbe diventata una delle principali finalità del museo contemporaneo: educare il suo pubblico. In realtà, implicitamente intrinseca alla sua stessa natura, la funzione pedagogica del museo si sarebbe affermata esplicitamente solo con l’Illuminismo ed effettivamente concretizzata soprattutto dopo la Rivoluzione Francese. Prima di allora, però, ci fu un altro esempio illustre in questa direzione, la costituzione della Pinacoteca Ambrosiana. Ideata da Federico Borromeo all’inizio del Seicento, la Pinacoteca presentava una peculiarità innovativa per i suoi tempi. Congiuntamente pensata con altre due istituzioni culturali, (Biblioteca ed Accademia) essa aveva, oltre allo scopo di conservare ed esporre, quello dichiarato di accompagnare l’educazione dei giovani studenti di Belle Arti, mettendo a loro libera disposizione le opere e le riproduzioni dei più grandi artisti del passato, cui potevano, e dovevano, magistralmente ispirarsi. L’iniziativa fu lodevole, ma bisogna tuttavia sottolineare che dietro questa decisione ci fu anche la necessità pratica di rispondere ad un’esigenza politica di quei tempi. Dopo il Concilio di Trento la Chiesa Cattolica, infatti, aveva bisogno di nuovi artisti che attraverso le loro opere potessero sostenere l’ingente impegno di propaganda finalizzata alla sua rivitalizzazione. Federico Borromeo, quindi, selezionò per la sua collezione non dei modelli artistici a caso, bensì proprio quelli che potevano aiutarlo a formare una nuova generazione di artisti al servizio della Chiesa.
Ed ovviamente anche in questa occasione il museo seppe piegarsi agilmente alle richieste del suo committente e, attraverso l’adozione di questa nuova funzione, si rivelò esplicitamente come un’istituzione culturale al servizio della società che rappresentava, inevitabilmente sposato con la causa del potere. Infine, l’Illuminismo prima, la Rivoluzione Francese poi, suggellarono definitivamente questo patto. Da allora il museo avrebbe svolto un ruolo sempre più importante nella società, trasmettendone programmaticamente i valori. Per la prima volta si aprì ad un vero pubblico di amatori e gente comune. L’educazione diventò un diritto del nuovo cittadino borghese, il museo un suo strumento. Nasce, così, il museo moderno, che ormai deve al suo pubblico la sua stessa ragione di vita.
Oggi, infatti, il rapporto tra struttura museale e visitatori sembra aver acquisito ancora più importanza. Si confrontavano inizialmente i grandi musei affollati con gli ancora numerosi musei incapaci di attirare su di sé l’attenzione del grande e del piccolo pubblico, giustificando questo dato di fatto con la constatazione della fossile immobilità di questi ultimi. Ma che cosa effettivamente non sono stati in grado di cambiare?
Non si può certo dire che questi musei abbiano pubblicamente ripudiato la loro funzione educativa di fronte alla società, che abbiano chiuso le porte in faccia a qualcuno dei suoi visitatori, anzi continuano ad offrire un bagaglio di conoscenza a quanti vogliano cibarsene. Eppure, questi musei assomigliano per lo più a polverosi depositi. Il loro insuccesso consiste nella incapacità di rappresentare la società in cui vivono.
Un museo può perseguire i fini di sempre, ma se non accompagna lo sviluppo del mondo in cui vive, non sarà mai in grado di offrire i suoi servizi a quel mondo, il quale, non riconoscendolo, inevitabilmente lo rifiuterà. Questi musei non hanno saputo accettare il fatto che oggi il pubblico è cambiato, che la società è cambiata. Se l’educazione passa attraverso l’informazione, la moltiplicazione della sua offerta ha prodotto una saturazione del sistema. Se per imparare è necessario l’interesse, in un universo già saturo è fondamentale catturare la curiosità di un pubblico senza fame.
Questo non sono stati in grado di fare i musei della vecchia guardia. Hanno continuato a pensare al visitatore come ad un contenitore vuoto da riempire, mentre nella realtà è già pieno fino a scoppiare. Se poi a tutto ciò aggiungiamo il fatto che le istituzioni dello Stato hanno per lo più delegato la sopravvivenza di questi musei ad una politica di redditività diretta, risulta inevitabile che una struttura senza pubblico sia anche una struttura senza soldi, senza i quali difficilmente si possono programmare grandi cambiamenti. Nota bene che con ciò non si vuole mettere sul piedistallo l’iniziale esempio di museo bulldozer, fagocitante mostro mediatico dell’industria culturale, nel quale troppo spesso il significato socio-culturale del suo contenuto viene svalutato a favore di una logica di mercato. Semmai, ci si rammarica che tanti piccoli e medi istituti museali rimangano abbandonati al loro destino, senza un intervento che dalla politica sarebbe dovuto arrivare. Fino ad oggi il museo ha sempre mantenuto fede al patto stipulato con la società, ma se questa si dovesse scordare di lui, a chi esso dovrebbe appellarsi per garantire la propria sopravvivenza?
Al mercato? Sarebbe passare dalla padella nella brace.


IMMAGINI

Veduta della villa “Il Museo” di Paolo Giovio, Giovanni Domenico Caresana (?). (Cureglia, 1574 c. - Riva San Vitale,1619), Como, Pinacoteca Civica.
Ritratto di Paolo Giovio, (Como, 1483 - Firenze, 1552).
Studio di racchette per camminare sull’acqua, Leonardo da Vinci, (Anchiano di Vinci, 1452 -Cloux, 1519), Milano, Pinacoteca Ambrosiana.
Virgilio ambrosiano (manoscritto, 1336 c.), Simone Martini, Milano, Pinacoteca Ambrosiana
Paesaggio invernale, Hendrick Avercamp, (Amsterdam 1585 - Kampen,1634), Milano, Pinacoteca Ambrosiana.
Wunderkammer (Stanza delle meraviglie), Collezzionismo di tipo privato che non prevedeva la fruizione da parte del pubblico.