Anno 5 - N. 13/ 2006
Il cavallo alla corte dei Gonzaga
Il cavallo alla corte dei Gonzaga All’inizio del XIV secolo si concretizzava in Italia la passione per i cavalli
La “raza nostra de casa” tra leggenda e strategie politiche
di Giancarlo Malacarne
Cavalli berberi
Sala dei cavalli, Affreschi di Rinaldo Mantovani e Benedetto Pagni su cartoni di Giulio Romano, Mantova, Palazzo Te.
L’avventura degli allevamenti equini mantovani cominciò con Ludovico II Gonzaga (1444-1478) e si perpetuò fino all’ultimo duca Ferdinando Carlo (1665-1707).
La storia dei cavalli gonzagheschi ad un certo punto sfocerà nella leggenda in quanto si tratterà, per la famiglia dominante, di proporsi agli occhi del mondo attraverso il prestigio incarnato da splendide cavalcature, di sentirsi ammirati per aver selezionato un’eccezionale razza di corridori, di sapersi invidiati per le infinite vittorie ottenute nelle corse dei palii in tutto il Paese.
Ludovico guardò ai cavalli, come elemento di assoluta posizione di rilievo, incominciando a comprarli, allevarli, selezionarli. Giunse presto qualche successo, ma la morte sopraggiunse a troncare ambizioni e speranze. Tuttavia il seme era intanto germogliato e il desiderio mutatosi in imperativo; così fu con il nipote Francesco II (1484-1519) che esplose la stagione de “la raza nostra de casa”. Egli visse quasi in simbiosi con i propri cavalli e li portò ad un grado di perfezione che altri, dopo di lui, non riuscirono a raggiungere. Ammirato dal Re di Francia, dal sultano di Costantinopoli, dall’imperatore e dal Papa, fu lui a donare al re d’Inghilterra quei quattro stalloni che scriveranno con inchiostro indelebile la prima pagina relativa al purosangue di quel Paese.
All’inizio del XIV secolo si concretizzava in Italia la passione per i cavalli, ma era quello da corsa che maggiormente polarizzava l’attenzione del principe medievale e rinascimentale; per questo, venivano acquistati in Arabia, Turchia, Marocco, Tunisia, elementi delle razze di colà, particolarmente veloci e di elegante conformazione fisica. I marchesi di Mantova posero un’attenzione del tutto particolare al fenomeno, provvedendo autonomamente alla selezione, attraverso un processo di insanguamento progressivo con cavalli turchi, arabi e berberi, che definì una razza di campioni, come mai ve n’era stata in Italia.
Gli uomini del marchese, particolarmente esperti, venivano inviati in ogni parte d’Italia ed Europa per comprare; una delle voci in rosso della contabilità gonzaghesca era in ordine ai massicci acquisti effettuati, anche se non si rivelava semplice “cavare” le mandrie o anche i singoli esemplari dai luoghi di provenienza. Vigevano infatti divieti infiniti ed era impensabile poter importare un buon cavallo senza il permesso del signore del luogo.
Le scuderie erano disseminate sul territorio: a Gonzaga le “Chase nove”, a Sermide la mitica “Roversella”, a Palidano la “Margonara”, e ancora a Marmirolo, Pietole, Governolo, Soave, oltre alle scuderie di San Sebastiano, a Mantova, allocate sull’isola del Te.
Soprattutto tra gli anni ‘80 del XV secolo e gli anni ‘30 del successivo, si scatena la mania delle corse del palio, una competizione cui tutti i potentati partecipano nella frenesia di accaparrarsi quel pezzo di stoffa - velluto, raso, broccato, damasco - che porta al vincitore onore e prestigio su ogni piazza d’Italia. Lo spettacolo è assicurato e la lotta sempre più serrata; gli inganni per vincere sempre più macchinosi. Il confronto qualche volta si stempera nel burlesco, ma nella maggior parte dei casi è tanto aspro da portare a spiacevole contenzioso. Comunque sia si realizza una forma di spettacolarità che, più dei cavalli, proietta nel mondo delle corti la figura del principe.
Un’indimenticabile stagione di vittorie è costituita dalle corse che Francesco II, con i suoi “barbari”, cavalli incrociati e selezionati con corridori arabi e berberi, vince in ogni città d’Italia, 197 corse in soli vent’anni, dal 1499 aI 1519. Stupendi vincitori dai nomi come: Orso, Guercio, Pisanello, Armelino, Renegato, Sdormia, Serpentino, Zirifalcho e Imperadore, montati dai “barbareschatori”, fantini agili e leggeri, che per tutto l’anno vivono in una sorta di simbiosi con essi. Un documento importantissimo è il “Libro dei palii” di Francesco II, nel quale sono elencate tutte le vittorie conseguite nella penisola dai suoi campioni, con l’anno, il nome dell’animale e il premio conseguito, illustrato con la miniatura dei “corredori”. Un’opera straordinaria che proietta nella storia del palio in Italia la figura del Gonzaga.
La scienza veterinaria, fondamentale in un simile contesto, era legata a rituali di grande suggestione ma forse non altrettanto curativa, in quanto la pratica empirica ed i sistemi posti in essere per curare le malattie non possono, oggi, che farci sorridere. Un codice tardo quattrocentesco dal titolo “Delle infirmità delli cavalli”, redatto dal capo dei “mareschalchi” delle scuderie gonzaghesche, enumera le diverse tipologie di intervento, così come analizza le malattie più ricorrenti e i segni indicativi manifestati dagli animali, atti a riconoscerle.
Circa i rimedi per i cavalli sofferenti, di grande interesse si rivelano gli “incanti”, ossia rituali magici che dovevano consentire il recupero della perduta salute degli animali; un misto di scienza e di astrologia.
Nel Palazzo Te di Mantova, voluto da Federico Il Gonzaga, sono affrescati alcuni dei cavalli preferiti dal primo duca, che mettono in evidenza forme elegantissime; per quattro di loro i nomi sono: Dario, Bataglia, Glorioso e Morel favorito, tutti rappresentati con le code rosse, per una sostanza vegetale chiamata “Alcanna d’Oriente”, molto usata al tempo sia sulla coda che sugli zoccoli e criniera dei cavalli del marchese e poi duca di Mantova.
Un bizzarro elemento di vanità che insieme a selle e bardature si costituiva a espressione spettacolare, nel momento in cui i cavalli erano presentati agli ospiti o inviati in dono ai sovrani, papi ed imperatori. Ebbene quei cavalli non furono ritratti dal vivo da Giulio Romano, ma solamente da esso disegnati, in quanto nel momento della realizzazione della sala essi erano già deceduti. Permane tuttavia, attraverso la serie di splendidi stalloni dipinti, la testimonianza. di un tempo onusto di gloria e pervaso del più scintillante prestigio oltre, in specifico, del desiderio del principe di mantenerli vivi nella memoria e nella storia.
Uno degli elementi di maggior interesse relativo alla “raza nostra de casa”, si incarna nel rapporto stabilito con Enrico VIII d’Inghilterra, quando Francesco II decise di mandare al sovrano alcuni campioni delle proprie scuderie. Nel giugno del 1514 Zohan Ratto, inviato del marchese, giungeva a Londra con gli animali e subito dava notizia a Mantova dell’accoglienza del re e dello stupore destato nella corte per quei quattro meravigliosi stalloni che rispondevano al nome di Altobello (leardo), Castano (baio), Governatore (morello), Saltasbarra (leardo). Successivamente per molti anni, a più riprese, furono mandate ad Enrico VIII non solo decine di cavalli, ma intere mandrie di fattrici mantovane. Alle dirette discendenti di queste ultime vennero dati più tardi i celebri stalloni Godolphin Arabian, Darley Arabian, Byerley Turck, progenitori dell’attuale purosangue inglese. Appare allora con evidenza che i successori del re, che come lui si affannarono con l’intento della creazione di una razza inglese velocissima oggi nota come “purosangue inglese”, scegliessero, per l’incrocio con il cavallo arabo, turco o berbero, tra gli elementi che già avevano a disposizione nei loro allevamenti, la corrente di sangue mantovano importata in Inghilterra, la quale rappresentava quanto di più perfetto e veloce si fosse fino a quel momento prodotto in Europa.
Vi è un documento che più di altri testimonia il ruolo di insanguamento esercitato dal cavallo gonzaghesco su quello inglese alla fine del XVII secolo, nel quale Enrico VIII, già nel 1526, riconosce la superiorità dei campioni mantovani. In quel momento il vigore dei focosi corsieri della “raza nostra de casa”, delle splendide fattrici gonzaghesche, già si andava sostituendo a quello dei pur forti cavalli scozzesi. La creazione del purosangue inglese, nelle cui vene doveva scorrere rutilante il nobile sangue dei “corredori mantuani”, era già cominciata.
IMMAGINI
Cavalli berberi, Sala dei cavalli, Affreschi di Rinaldo Mantovani e Benedetto Pagni su cartoni di Giulio Romano, Mantova, palazzo Te.
L’incontro (Camera degli sposi), Andrea Mantenga (Isola di Canturo, 1431 - Mantova, 1506), Mantova, Palazzo Ducale.
Carlo I, Sir anthony Van Dyck (Anversa, 1599 - Londra, 1641), Londra, National Gallery.
Stalliere moro con cavallo, Jacopo Ligozzi, (Verona, 1547 - Firenze, 1627), Firenze, Collezione del Gabinetto Disegni e Stampe Uffizi
Ferdinando Carlo II Gonzaga, Frans Geffels (Anversa, 1625 - Mantova, 1694), Mantova, Palazzo d’Arco, Sala della Giustizia.
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