Anno 5 - N. 13/ 2006


“Oche in sale: numero 300, sanguinacci: numero 2800, coglioncini e creste di pollo: libbre 120”

BANCHETTI Rinascimentali

Sfarzo, messinscena, portate opulente. un evento dai molti significati. la cucina era di rappresentanza, lo spreco programmato, le portate numerosissime, gli invitati più interessati all’evento nel suo complesso che non a mangiare tutto ciò che veniva loro offerto

di Ambra Morelli



Il Cuoco (s.d.) Giuseppe Arcimboldo (Milano, 1530 - 1593) Collezione Privata


“Oche in sale: numero 300, sanguinacci: numero 2800, coglioncini e creste di pollo: libbre 120, cotogne pome granata: libbre 150, noci gherigli: libbre 300, nocciole fresche e secche: libbre 260”… “Malvagia: botti 18, romania: botti 7, bastardo: botti 21, greco di Somma: botti 19, vernaccia: botti 32”… è l’elenco con cui Orazio Bagnasco nel suo libro “Il banchetto” introduce la narrazione del coinvolgente romanzo ispirato ad un periodo storico, il Rinascimento, e ad un sontuoso uso della convivialità che è unico nella storia.
La realtà non era diversa dalla fantasia del racconto se si considera la quantità di libagioni utilizzate, ad esempio, al banchetto nuziale di Roberto Malatesta e Elisabetta da Motenfeltro celebrato il 25 giugno 1475 e di cui, il seguente elenco di cibi, è solo uno stralcio. Si consumarono “…8600 paia di polli, 45.000 uova, 180 prosciutti, 40 forme di parmigiano, 13.000 arance e 120 botti di vino…” per la celebrazione di un matrimonio che avrebbe unito due potenti famiglie.
Ma, entriamo anche noi nella storia.
Al palazzo d’epoca rinascimentale, stanno giungendo gli ospiti; è qui che si svolgerà il banchetto e il suono di un campanello annuncia l’entrata degli invitati. I coppieri sono pronti ad offrire acqua profumata per sciacquare le mani, tutto è ormai pronto per il sontuoso ricevimento, occasione opulenta e magnifica, con danze, giochi, apparati sfarzosi, raffinate invenzioni, ricchi menu in un susseguirsi di piatti da capogiro: ha inizio il banchetto rinascimentale.
Si è presenti ad un cerimoniale pomposo: ecco la sala di ricevimento allestita con tavoli lussuosamente apparecchiati con tovaglie, e tovaglioli, di finissimo lino o tessuto elegantemente ricamato e coperte di fiori. Anche gli addobbi sono preziosi: oro e argento per saliere, oliere e posate che sono per ogni commensale, forchette comprese, (l’uso delle mani e di un unico coltello rimonta al periodo medioevale), bicchieri in vetro di Murano, stuzzicadenti d’avorio. La tavola ostenta materiali preziosi come cristalli, maioliche, peltro, agata, lapislazzuli, oro e argento che finiscono anche nei cibi per impreziosirli ed impressionare.

Il banchetto rinascimentale era un avvenimento molto più complesso di un invito a tavola, era un elaborato spettacolo e doveva mettere in evidenza la ricchezza e la magnificenza. La cucina era di rappresentanza, lo spreco programmato, le portate numerosissime, del resto gli invitati erano più interessati all’evento nel suo complesso che non a mangiare tutto ciò che veniva loro offerto. A quell’epoca la coreografia che accompagnava il banchetto era straordinaria. Le stesse vivande offerte erano pensate, preparate, presentate come opere d’arte, spesso, come si è detto, portate all’estremo utilizzando lamine o polvere d’oro e argento per decorare i piatti (qualcosa di simile è arrivato fino ai giorni nostri se si pensa al risotto con foglia d’oro proposto da Gualtiero Marchesi).
Tale ostentazione richiedeva presenze importanti per officiare il banchetto, come lo scalco, massimo responsabile-organizzatore dell’evento, i trincianti (che provvedevano a far porzioni delle intere parti di animale tagliate dallo scalco), i coppieri, i valletti. La varietà di cibi presentata dallo scalco era composta in un menù complesso e molto articolato che prevedeva “servizi di credenza” posti in bella vista, appunto, su una credenza (sostanzialmente rappresentati da piatti freddi) intervallati da “servizi di cucina” (piatti caldi). Un “primo servizio di credenza” comprendeva vivande che potevano arrivare fino a 16 portate (paragonabile ai nostri antipasti), un “secondo servizio di credenza”, fino a 12 pietanze (la qualità di piatti proposta era simile ai nostri primi) ed un “terzo servizio di credenza” con piatti di carne, infine un “ultimo servizio di credenza” che offriva dolci e frutta in un conteggio finale che arrivava anche fino a cento portate.
I tempi del banchetto erano lunghissimi, solo poche portate potevano arrivare agli ospiti alla temperatura ideale per apprezzarle.

Ecco arrivare, accompagnati da uno squillo di tromba, paste (ravioli, lasagne, torte salate) e poi, dopo il cambio delle tovaglie che avviene tra un servizio e l’altro, grossi animali che sono presentati come vivi.
Ecco il celeberrimo “pavone ripieno e rivestito delle sue stesse piume” e con la coda posta a ventaglio oppure il cinghiale che nasconde sotto la sua pelle ogni sorta di selvaggina, poi prosciutti cotti nel vino, papere in salsa ginestrina (mostarda allo zenzero e zafferano), storioni lessi, ostriche, ortaggi di ogni sorta, marzapani, frutta, sorbetti, confetti. Ecco le danze, le musiche, i giochi che dilettano durante il pasto.
Ai lati della tavola i coppieri servono i vini e l’acqua, (in quell’epoca il vino si beveva annacquato) in un andirivieni di bicchieri che non si lasciano sulla tavola ma ritirati, lavati e riofferti. Questo consentiva di non aver intralci sulla tavola durante il continuo scambio di piatti.
Così si presentava uno di questi banchetti, secondo la descrizione del Vasari, uno dei più importanti architetti e pittori del Rinascimento ma anche abile descrittore del costume del Cinquecento: “…con assai bell’ordine si conoscono tutte le maniere dé serventi, paggi, scudieri, soldati della guardia, bottiglieria, credenza, musici, et un nano, et ogni altra cosa che a reale e magnifico convito è richiesta. Vi si vede fra gli altri lo scalco condurre le vivande in tavola, accompagnato da buon numero di paggi vestiti a livrea, et altri scudieri e serventi…”

Decisamente di moda il banchetto a tema, spesso si ispirava alla mitologia e nei banchetti di nozze generalmente si raggiungeva il massimo di espressività: in occasione delle nozze tra Alfonso II d’Este e Barbara d’Austria celebrate nel 1565 si allestì un’ambientazione del convivio dedicata a Nettuno, dio del mare. In un angolo della sala si inscenò un fondale marino, una grotta artificiale ospitava la bottiglieria, sui tavoli vi erano coperte intessute con motivi che potevano ricordare il movimento delle onde, i piatti erano a forma di conchiglia e i tovaglioli piegati a forma di pesce.
Novanta statue di zucchero rappresentavano un corteo di pesci, animali marini e il dio Nettuno in una scena trionfale che concludeva la rappresentazione.
Però anche sull’onda della moda che enfatizzava la semplice vita di campagna e i prodotti rustici, si organizzavano colazioni in “villaggio” come quello fatto costruire apposta da Maria Antonietta nel parco di Versailles per ricevere gli amici.
Il Cinquecento è l’epoca in cui la scoperta dell’America portò la novità di alimenti nuovi, il cui uso diventerà abituale nei secoli seguenti, ma anche ad una maggior disponibilità di zucchero grazie allo sviluppo delle piantagioni. Questo fece esplodere la passione per le decorazioni in zucchero che, composto con gomma adragante, acqua di rose e chiara d’uovo, era modellabile e quindi estremamente duttile prima che indurisse, per i capolavori dei pasticceri. I veneziani furono i più abili in questa arte e tra le meglio riuscite rappresentazioni della Serenissima è celebre quella della colazione offerta al re di Francia Enrico III nel 1574. Sulle tavole apparecchiate c’erano decorazioni, sculture, tovaglie, tovaglioli, piatti, coltelli e pane fatti di zucchero preparati sul modello del Sansovino così ben imitati che il re rimase sorpreso quando, preso un tovagliolo creduto vero, gli si spezzò in mano.

È chiaro che una scenografia simile richiedeva anche una struttura particolare perché la magnificenza raggiungesse il massimo punto. In epoca rinascimentale il mecenatismo delle corti era frequente, soggiornavano a palazzo artisti di grande talento che portavano un contributo a queste elaborazioni. Leonardo da Vinci, ad esempio, alla corte di Ludovico il Moro, in qualità di “sovrintendente alle mense” sfruttando tecniche di automazione usate in teatro, creò tribune, coreografie, tende, costumi e organizzò un sistema che poteva far comparire e scomparire dal pavimento le tavole imbandite ed impressionare gli invitati.
Il contesto, l’ambientazione e la messinscena crearono l’esigenza di un rituale, di un’etichetta, di “sapersi comportare”. Le regole di buona maniera vennero codificate in una serie di atteggiamenti eleganti, superando le abitudini medioevali dello stare a tavola, per esempio, usando le posate al posto delle mani o usando il tovagliolo invece dell’angolo della tovaglia o del proprio abito. L’invitato deve sapere che “…non istà bene grattarsi, sedendo a tavola…”, poiché il pericolo di contaminazione da pidocchi, allora diffusissimi, era reale. Le norme di buona creanza vennero definite “galateo” e regolate dai trattati di Monsignor Giovanni della Casa o di Bonvesin della Riva (v. EOS n°12), pubblicazioni che ebbero un grande successo segnando una traccia, quella della buona educazione a tavola, che almeno nei principi di base, ancor oggi viene insegnata, anche se, tuttavia, non sempre seguita.

Bartolomeo Stefani e l’arte di ben cucinare
Bartolomeo Stefani fu un grande personaggio, era il cuoco di Sua Altezza Serenissima il Duca di Mantova. Nonostante fosse di origine bolognese ambientò perfettamente la sua arte alle necessità della corte gonzaghesca prendendo direttamente dal territorio le materie prime che i luoghi mantovani potevano offrire. La sua storia è giunta a noi attraverso “L’arte di ben cucinare et instruire i men periti in questa lodevole professione” che fu pubblicata dagli stampatori ducali, gli Osanna, nel 1662 e in seguito a Venezia. Una nuova edizione, nove anni più tardi dalla prima, fu stampata a Milano a dimostrare, quindi, il successo che superava i confini del Ducato di Mantova. Fu uno degli ultimi testi rinascimentali di cucina italiana prima del sopravvento della cucina francese. Dalla lettura del libro emerge che i cuochi del tempo dovevano avere anche una certa cultura letteraria e mitologica che consentiva loro di organizzare tutto l’evento di messinscena del banchetto rinascimentale. Lo Stefani si distinse anche perché nel suo testo dette rilievo, per primo, al “vitto ordinario” completo di ricette con dosi e prezzi degli ingredienti. Il cosiddetto “vitto ordinario” comprendeva proposte gastronomiche adatte alle possibilità economiche della classe media per la quale l’interesse per la cucina è alto: in un gruppo sociale che ormai inizia a cercare spazi per emergere. Mentre, ovviamente, l’interesse per l’argomento gastronomico è ancora troppo lontano per la gente comune il cui obiettivo rimane riuscire semplicemente a mangiare quotidianamente.

BANCHETTO
Ordinato per la Maestà della Regina
Christina di Svezia dal Serenissimo di Mantova
fatto da Bartolomeo Stefani il 27 novembre 1655

“…dirò quello che io hebbi occasione di fare quando la Maestà della Regina Christina di Svezia venne in Italia, e dove m’adoperai, essendo stata ricevuta per tre volte dal Serenissimo di Mantova mio Signore e Padrone, e sempre regiamente. La prima volta fu nella terra di Revere in riva al Po. La seconda fu nella città di Casale Monferrato. La terza e ultima fu poi in Mantova, e nella prima mensa quando pubblicamente si fece vedere, io stesso la servii nei trionfi, rifreddi ed altre vivande. Fu preparata la tavola nella solita camera regia, detta la camera delle Virtù con ricchissimo tappeto e tovaglie doppie, stuccate dal credenziere, gentilmente. La credenza ricchissima di bacine, e vasi dorati e bottiglierie cariche di vasi di cristallo legati in oro, fabbricati con tanto magistero, che chi li rimirava restava pieno di meraviglia. Nel mezo della tavola sorgeva un trionfo fatto di zuccaro, ed era il monte Olimpo con l’altar della fede, nella sommità del quale erano due puttini che sostenevano una corona reale sopra l’arma di Sua Maestà, d’ambedue le parti della tavola vi erano compartiti quattro vasi di naranci con l’albero, frutti e frondi fatti di gelatina, quali hevano apparenza naturale; fra un vaso e l’altro era una galeria fatta tutta di zuccaro in buon dissegno di architettura, e nella prospettiva d’ambe le parti, da una parte dodici colonne corinzie e dall’altra dodici di ionico ed in una di queste gallerie erano le statue di primi guerrieri, che nell’arte militare fatto hanno opere di maraviglia ed anco con varie bizzarie d’animali, come in tale galerie soglionsi vedere. Nell’altra galeria vi erano li più virtuosi uomini che siano stati al mondo, ed ambedue le galerie erano simili d’architettura. Furono le panatiere d’oro, coperte con un copertore di sottilissime piegature, quello di Sua Maestà era in forma di un bellissimo giglio: quello della Serenissima Arciduchessa formava un’aquila e quello del Serenissimo Nostro era in forma d’un elmo con le piume fatte di detta piegatura. Avanti ogni posata di Sua Maestà, e Serenissimi, due puttini fatti di zuccaro con una canestra trasforata, era una piena di biscottini fatti alla savoiarda e l’altra di biscotti di zuccaro.

PRIMO SERVIZIO DI CREDENZA
Fraghe lavate con vino bianco servite con zuccaro sopra, e nel circuito dell’ala del piatto, conchiglie fatte di zuccaro empite delle stesse fraghe, tramezzate con uccelletti fatti di pasta di marzapane, che dal motto loro sembrava voler beccare dette fraghe. Una suppa di piccioni grossi cotti in latte e malvasia, e cavati da quello, lasciati raffreddare, e con pane di Spagna facendo la suppa imbeverada di malvasia, polverizzata di zuccaro e canella, posti dentro li piccioni ben compartiti in forma di rosa, sopra coperti con latte di pistacchi, tempestati tutti di pignoli, che erano stati imbeverati in acqua di rosa: sopra l’ala del piatto vi erano un rabesco di fiori fatto di pasta di marzapane, tutto agghiacciato di zuccaro e profilato d’oro, essendovi sopra un copertore di zuccaro, sottilmente qual copriva il piatto sforzato e non arrivava al peso di due oncie. Un pasticcio di fagiano fatto al naturale, qual era tutto di pasta di marzapane, prima il fagiano lardato minutamente, stato in addobbo nelle spezierie e cotto nello spiedo non intieramente, e questo feci, essendo la pasta di marzapane gentile, ed agghiacciato sopra con un ghiaccio di zuccaro…”
La descrizione prosegue dettagliata e lunghissima perché numerosissime le portate. Per completezza, ma anche per brevità, si riporta non più la descrizione ma l’elenco della numerosità delle portate con l’intento di dare un significato a quanto riportato a proposito dei banchetti rinascimentali. Sempre nel “primo servizio di credenza”: coppe, gallinacci piccoli, una testa di cinghiale, una torta di marzapane empita di vari frutti, galli di monte, due corone di gelatine che coprivano due piatti di cedri, limoni dolci, paranchi della China.

PRIMO SERVIZIO DI CUCINA
Minestra di polpe di fagiano, piatti di ortolani cotti arosto, suppa reale fatta di cantucci di Pisa, capponi cotti bianco prima purgati nel latte, cosce di cinghiale, teste di vitello cotte nel latte tramezate con teste di capretto ripiene, pasticci di petto di pernici, pollastrelli piccioli empiti.

SECONDO SERVIZIO DI CUCINA
Fagiani cotti allo spiedo serviti con salsa di limoni e zuccaro, tortore attortorate servite con salsa di mele granate.

TERZO SERVIZIO DI CUCINA
Coscia di daino servita con una salsa di cappari, cedro grattao ed aceto di malvasia, francolini cotti nelle spiedo. Un gatìo fatto di pasta sfogliata a guisa d’un sole empito di cappone pestato, pernici arrosto servite con salsa d’aceto fatta con fiori di gelsomini, lepre cotte arrosto servite con salsa reale aceto di fior di rosmarino, piccioni grossi arrosto e sopra una crostata di zuccaro e canella.

SECONDO SERVIZIO DI CREDENZA
Suppe di brugnoli, tartuffole e cavoli fiori insieme, ostriche, grancevole, sparagi, carcioffi, uva fresca, pere bergamotte, marzolini, cascio parmigiano, finocchio, silari, pomi, olive, latte miele, bianco mangiare.


TERZO SERVIZIO DI CREDENZA
Confetture e conserve: ribes, cedro, armille, cerase, agriotte, persicata, pistacchi mondi, gelo di cotogno, cedro candito, cannelloni confetti, pere candite, pistacchea, mostaccioli reali, pignoli lisci muschiati.


Il Cuoco (s.d.), Giuseppe Arcimboldo (Milano, 1530 - 1593), collezione privata.
Il Banchetto di Ahasuerus (c. 1490), Jacopo del Sellaio (Firenze, 1442 - 1493), Firenze, Galleria.
degli Uffizi
Fontana da tavola (c. 1589), Bottega dei Saracchi, Firenze, Museo degli argenti.
Tavola imbandita (sala di Psiche), Giulio Romano e collaboratori, Mantova, palazzo Te.
Cena in casa di Levi e successive (1573), Paolo Veronese (Verona,1528 - Venezia,1588), Venezia,
Galleria dell'Accademia