Anno 4 - N. 11/ 2005
Storia della Medicina
AI PRIMORDI DELLA MEDICINA OCCIDENTALE
La medicina antica dell’oriente mediterraneo
Fra astrologia ed empirismo, fra teurgia e razionalismo, muove i suoi primi passi, accanto alla scienza ed alla filosofia, l’arte occidentale di combattere la sofferenza e la morte
di Francesco Piscitello
La dea Sekhmet
La nostra civiltà - con il suo bagaglio filosofico, scientifico, artistico, giuridico - affonda le sue lontane radici nell’oriente mediterraneo e nel mondo romano dei quali, sia pure con numerosi apporti di altre culture, rappresenta l’evoluzione recente. Appare quindi naturale far iniziare di là anche la storia del nostro pensiero e della nostra prassi in tema di malattia e di malato, di medico e di cura.
I POPOLI DELLA MESOPOTAMIA
Attenti osservatori del cielo, i popoli mesopotamici furono esperti conoscitori dell’astronomia. L’alternarsi delle stagioni e delle innumerevoli modificazioni che l’ambiente naturale intorno all’uomo, così strettamente correlato nel suo succedersi cronologico con il muoversi degli astri, suggeriva inevitabilmente l’idea che la relazione temporale dovesse essere anche una relazione causale: le cose della terra sono un effetto delle cose del cielo. Quest’idea, che non ha mai abbandonato completamente il pensiero umano, allunga fino al nostro tempo imbevuto di scienza e di tecnologia il suo seducente riverbero.
Il corpo dell’uomo e gli eventi che lo riguardano non fanno eccezione: ne sono anzi l’espressione più significativa e compiuta. La conseguenza naturale è che esperto dell’uomo non può essere che l’esperto degli astri: ossia l’astronomo-astrologo (la differenza tra le due discipline è assai recente: risale al rinascimento) che a sua volta riveste dignità di sacerdote. Ai suoi albori, dunque, la medicina mesopotamica è una medicina sacra, religiosa, sacerdotale. La più antica civiltà della regione, quella sumerica, ha origine nel quarto e forse nel quinto millennio prima dell’era volgare e raggiunge la sua massima espansione a metà circa del terzo millennio quando viene soppiantata da quella accadica e questa, a sua volta, da quella assira e babilonese.
Assiri e Babilonesi ereditano da Sumeri ed Accadi pensiero, conoscenza della natura e degli astri, cultura giuridica: la quale troverà la sua piena e matura espressione nel codice di Hammurabi, del diciannovesimo secolo prima di Cristo. Questi due popoli danno grande impulso alle arti, alle scienze ed alla medicina stessa che, sebbene non si affranchi ancora dalla concezione magico-religiosa ed astrologica, mostra però un’acuta capacità di osservazione: la tubercolosi polmonare, ad esempio, è ben conosciuta - non nella sua eziologia, ovviamente: è causata dal demone Asakku! - ed accuratamente descritta: “...il malato tossisce frequentemente, il suo sputo è denso e qualche volta contiene sangue, la respirazione dà suono come di un flauto. La sua carne è fredda ma i suoi piedi sono caldi, egli suda molto ed il cuore è molto inquieto...(1)”. La terapia si giova di rimedi naturali vegetali (il loto, il mirto, l’aglio), animali (organi diversi variamente trattati), minerali (ferro, rame), della ginnastica e del massaggio oltre che, naturalmente, della chirurgia, notevolmente sviluppata. Un aspetto particolarmente interessante della medicina assiro-babilonese è il suo affrancarsi dalla religione: non tanto per quanto riguarda il patrimonio dottrinale o la concezione filosofica dell’uomo e della malattia, quanto piuttosto nell’esercizio pratico. Il medico è un professionista laico.
LA MEDICINA TEURGICA DEL POPOLO EBRAICO
Il popolo giudaico ebbe contatti frequentissimi con le popolazioni vicine: scambi commerciali, guerre, lunghi periodi di cattività - si pensi all’Egitto, a Babilonia - con le conseguenti, reciproche influenze. La conoscenza della patologia dell’uomo non fece eccezione e la descrizione delle malattie risente fortemente delle conoscenze del mondo circostante. Una cosa tuttavia distingue il pensiero dell’uomo d’Israele da tutti gli altri popoli: il monoteismo rigoroso. Non cè spazio per gli dei stranieri, per le pratiche religiose - anche quelle volte alla guarigione dai mali del corpo - che li riguardano e severamente vietate ai fedeli dell’Altissimo, dell’Ineffabile. Non c’è spazio per divinità più o meno potenti alle quali attribuire la causa dei morbi od il merito della loro guarigione: solo la mitologia popolare contempla entità maligne, come gli scedim ad esempio, responsabili di malanni come la faringite dei bambini. Dio è unico, è il Signore di tutte le cose, della vita e della morte. Ed ovviamente della malattia e della guarigione.
Come emanazione del suo volere, la malattia è spesso una prova alla quale egli sottopone l’uomo, come Giobbe; ma il più delle volte è invece castigo della colpa umana e la guarigione, per conseguenza, passa attraverso l’espiazione: personale, per il tramite di pratiche rituali, o attraverso il sacrificio. La medicina di Israele è una medicina teurgica.
C’è allora uno spazio per l’intervento umano di carattere pratico, non religioso, per combattere la sofferenza? C’è: l’igiene. Il popolo d’Israele è stato il primo codificatore dei comportamenti igienici e di prevenzione. Essere taòr o tamè, puro od impuro, ammette od esclude dalle pratiche religiose ed è un concetto che riguarda il corpo non meno dell’anima. E la pratica della purificazione attraverso il bagno, anche quando ha il significato rituale di mondare da una colpa morale, produce comunque effetti fisici. Deterge. Pulisce. Il Levitico è ricco di prescrizioni e di divieti alimentari, molti dei quali, se ben osservati, rivelano un carattere igienico: senza contare i comportamenti che il sacerdote deve imporre in caso di malattie della pelle, di lebbra, di gonorrea, di infezione di stoffe o di case e le norme relative alla sessualità, al parto, ai rapporti sessuali, alle mestruazioni.
Non tutte le prescrizioni che ne hanno l’apparenza hanno però sempre un carattere sanitario. Non convince il Pazzini, ad esempio, la comune opinione che la circoncisione rivesta il significato di una pratica religiosa rituale che sottende un significato igienico. Osserva l’autorevole storico della medicina come non sia pensabile che per prevenire balaniti o balanopostiti “...il popolo eletto dovesse stringere un patto addirittura col Signore...(2)”: la sua opinione, che mi pare assai condivisibile, è che la circoncisione sia in realtà un sostituto attenuato di un rito omicida che imponeva all’uomo il sacrificio del primogenito al pari dei primogeniti delle mandrie e delle primizie della terra. Questo rito, in offerta al dio Moloch, era comune in Mesopotamia. Ma la circoncisione fu introdotta in Israele da Abramo, proveniente da una città mesopotamica, la caldea Ur: e lo stesso Abramo fu indotto dall’Eterno a sacrificare Isacco, salvo fermarne la mano mentre si accingeva all’obbedianza.
L’EGITTO, TERRA DI SPECIALISTI
Tutti gli dei egizi sono guaritori: come Thot dalla testa di ibis, dio della scrittura e scriba degli dei, notaio del giudizio delle anime, che guarì Horus e Seth i quali, combattendo tra loro, avevano perso un occhio il primo ed i testicoli il secondo, riattaccando loro gli organi perduti; o come Sekhmet, dea dalla testa leonina, che si prende cura ogni giorno delle malattie delle donne. Ma il più grande dei guaritori fu Imhotep, ministro di Zoser, faraone della terza dinastia, ed architetto del re: a lui si deve la piramide a gradoni di Saqqara, primo esempio della forma architettonica più celebre dell’Egitto. Ma soprattutto fu medico e come tale, in epoca tolemaica, divinizzato come patrono dei medici.
Ad Imhotep si deve la divisione delle malattie in “favorevoli” (quelle che il medico sa curare), “dubbie” (quelle che il medico comunque affronta) e “sfavorevoli” (quelle che il medico non sa trattare).
La medicina egizia non fu soltanto una medicina religiosa che ricorreva ad atti di culto a scopo di guarigione. Fu anche, forse soprattutto una medicina dalla visione naturalistica, biologica. Concettuale, però, non certo sperimentale: perchè la sperimentazione potesse avere un ruolo nel fornire elementi di conoscenza al bagaglio culturale occorrerà infatti aspettare, in età alessandrina, Erofilo ed Erasistrato.
Il medico egizio - sunu - è fondamentalmente uno specialista: l’irty-sunu è un oculista; il khet-sunu cura l’apparato digerente; il sunu gereget è un medico del lavoro; il “custode dell’ano” pratica il clistere (impiegando olii, sostanze medicamentose o bile di bue) che ha appreso dall’ibis del Nilo il quale, aspirata una certa quantità d’acqua, introduce il becco nel retto e ve la schizza effettuando un salutare lavaggio: con questa pratica vengono curate malattie dipendenti dall’ukhedu, un principio dannoso che si sviluppa dal materiale fecale e che si distribuisce, per mezzo di speciali canali, ai vari organi del corpo, determinando malanni e vecchiaia.
Di particolare interesse sono le norme che regolano l’esercizio della professione. Da Diodoro Siculo apprendiamo che il medico deve attenersi, nella cura, alle prescrizioni degli antichi (è il concetto del Maat, la tradizione, apportatrice di stabilità, di giustizia, di armonia): se le seguirà, sarà immune da colpa anche se il malato morrà e sarà invece condannato a morte se il malato morrà avendo egli abbandonato la tradizione: è impensabile infatti, secondo il legislatore egizio, che un sol uomo possa essere più saggio di quanto lo sia stato l’insieme di coloro che lo hanno preceduto.
Durante le guerre e nei viaggi entro i confini dell’Egitto - è sempre Diodoro Siculo che ci informa - il malato viene curato gratuitamente perchè il medico riceve un apposito compenso da parte dello stato.
GUARIRE SOGNANDO NELLA GRECIA DEGLI ASCLEPIADI
Primo dei medici greci e maestro di medicina e di chirurgia fu Chirone il centauro che annoverò, tra i discepoli più illustri, il figlio di Apollo e della ninfa Coronide: Asclepio principe di Tessaglia, a sua volta divinizzato e venerato, oltre che in Grecia, in Roma stessa con il nome latinizzato di Esculapio.
La medicina greca del periodo più antico fu sacerdotale: dunque si svolgeva nei templi, gli asclepieia perchè ad Asclepio erano dedicati, e veniva praticata (meglio sarebbe forse dire officiata) dai sacerdoti stessi, gli asclepiadi. Gli asclepiadi erano discendenti diretti di Asclepio: Ippocrate stesso apparteneva alla diciottesima generazione di questo lignaggio, divenuto casta sacerdotale alla quale era devoluto l’esercizio e l’insegnamento della medicina.
Prima regola vigente negli asclepieia, edificati sempre in prossimità di una sorgente (non di rado di acqua medicamentosa), era la purificazione del malato che vi accorreva: questa si svolgeva in più giorni e prevedeva numerose abluzioni ed una dieta speciale. Solo più tardi il paziente veniva ammesso nell’àbaton, sotto i portici del tempio, dove avveniva il sogno profetico. Disteso su pelli di capra, durante il sonno che talora era forse favorito anche da bevande drogate, egli credeva di vedere Asclepio che gli praticava la cura: in realtà si trattava del sacerdote stesso, camuffato da divinità, che si aggirava tra i dormienti nell’àbaton elargendo pozioni e praticando anche piccoli interventi chirurgici. Accanto al tempio vi erano palestre e luoghi dove si praticavano massaggi e frizioni e, non di rado, anche un teatro.
Pur vigendo ferrea la concezione che la cura fosse prescritta dalla divinità e non dal sacerdote, che ne era solo il materiale esecutore, questi tuttavia andava acquisendo, attraverso l’esperienza pratica, anche qualche base concreta di patologia e di terapia, primum movens essenziale di una laicizzazione della medicina fondata su criteri, se non scientifici, quanto meno empirici e su di un corpus dottrinario filosofico e non religioso: Ippocrate stesso fu uno dei promotori - indubbiamente il più importante - di questa evoluzione e forse il celebre giuramento fu, tra le altre cose, anche strumento della sua azione riformatrice.
LA MEDICINA LAICA DEL MONDO GRECO
Figura di spicco tra i presocratici, Talete di Mileto, fondatore della scuola ionica, influenzò profondamente, col suo pensiero, la concezione laica della medicina: l’acqua - nella sua natura propriamente fisica e non in quella metafisica di divina sostanza - è l’elemento dalle cui trasformazioni tutto deriva, compresa la vita stessa dei vegetali, degli animali e dell’uomo ed alla quale tutto torna quando la vita finisce. Più tardi Anassimene, della stessa scuola, vi sosituirà l’aria: ma nell’uno e nell’altro filosofo è presente l’idea che la vita e le sue manifestazioni, malattia compresa, siano fenomeni naturali riconducibili a trasformazioni della materia, sia essa l’acqua di Talete o l’aria di Anassimene.
Anche Pitagora - per quanto la sua figura sconfini nella leggenda e poco si possa dire di lui con certezza - fu grande studioso della medicina: ma soprattutto, con la sua dottrina del numero come radice dell’armonia del creato, esercitò grande influenza sulla concezione medica dei suoi contemporanei. Il pensiero di Alcmeone ad esempio, che fu il maggior esponente della scuola di Crotone ed il più illustre tra i medici preippocratici, risente fortemente della concezione pitagorica dell’armonia. Lo stato di salute infatti, nel pensiero di Alcmeone, dipende dall’armonica proporzione delle sostanze che costituiscono il corpo: e la proporzione è numero. La malattia, per conseguenza, è l’alterarsi di quella proporzione, è il distaccarsi dei numeri che la esprimono dall’armonia originale che corrisponde al benessere: compito del medico non può essere quindi che il ristabilire l’armonia turbata.
Il medico di Crotone, tuttavia, non si ferma alla sola teoria: è assai probabile che abbia praticato dissezioni di animali e fors’anche umane e identifica nell’encefalo, e non nel cuore, la sede delle sensazioni della vista, dell’udito e dell’odorato dalle quali nascono “il giudizio e la memoria e, in seguito, la stessa sapienza”.
Il pensiero del medico di Crotone esercitò un influsso poderoso sulla concezione ippocratica del corpo, del suo funzionamento, della salute e della malattia: il suo libro Peri Physeos, del quale non restano che tracce sparse negli scritti di autori successivi, fu certamente il testo più organico e coerente della sua epoca, al punto da far ritenere non pochi studiosi che da questo e da altri scritti di Alcmeone derivino alcuni dei testi del Corpus Hippocraticum.
Empedocle di Agrigento definì con maggior precisione la natura delle sostanze di cui parla Alcmeone e le modalità secondo le quali il loro equilibrio si mantiene e si altera. Il corpo, come ogni altra entità materiale, si compone di aria, acqua, terra, fuoco: ciascuno di questi elementi è in relazione col proprio omologo presente nell’ambiente esterno - come l’aria dei polmoni con l’aria atmosferica - ed il rapporto equilibrato che instaura con gli altri componenti corporei viene favorito dall’amicizia e turbato dalla discordia, lontano abbozzo di una concezione psicosomatica dell’organismo e delle sue funzioni. Scuole mediche laiche di grande rinomanza sorsero, oltre che nella Magna Grecia, anche nelle isole greche dell’Asia Minore: Cirene, Rodi, Cnido, Coo.
Cnido, tra le più illustri, risente chiaramente dell’influenza mesopotamica e, soprattutto, egizia con la sua concezione specialistica: la scuola di Cnido vede infatti la malattia come un evento strettamente localizzato in questo o quell’organo e l’insieme della patologia viene descritto in maniera schematizzata in tipologie morbose predefinite ed il trattamento si fonda su di un insieme di enunciati aforismatici, le Sentenze Cnidiche.
All’opposto della scuola di Cnido, quella di Coo elabora una concezione olistica della salute e della malattia: tutto il corpo è sano, tutto il corpo è malato: l’organo dal quale emanano i sintomi che segnalano la malattia è soltanto quello nel quale la disarmonia globale si esprime con maggiore evidenza. Rappresentante principale della scuola di Coo è Ippocrate, considerato il padre della medicina occidentale, che imprime uno slancio poderoso al pensiero medico, liberandolo da ogni dogmatismo preconcetto al quale ricondurre, più o meno forzosamente, l’osservazione dei fenomeni (ratio et observatio). Il medico deve guardare, analizzare, studiare: e soltanto dopo, scevro da ogni apriorismo e con l’uso della sola libera ragione, riflettere e formarsi un’opinione: observatio et ratio.
Ma l’uomo di Coo non si ferma qui: con il giuramento, ancora in gran parte attuale, impegna il medico ormai laicizzato ad una concezione profondamente etica anche se non più religiosamente sacrale, del suo lavoro. Conoscere e curare la malattia more scientifico non basta: occorre comprendere il malato. More humano.
IL CODICE DI HAMMURABI
Il Codice di Hammurabi, il re babilonese che soggiogò i Sumeri, regola accuratamente, tra le altre attività umane, anche la professione del medico.
Al cod.18, ad esempio, stabilisce che “...il medico che operi un uomo libero con un coltello di bronzo e ne determini la morte o la perdita di un occhio, avrà le dita tagliate...”
UNA DIAGNOSI DI GRAVIDANZA
Le nostre conoscenze della medicina egizia si fondano su molti documenti (il papiro di Ebers, quello di Smith, di Hearst, di Khaun) che contengono regole, prescrizioni, ricette, metodologie diagnostiche. Una di queste, per la diagnosi di gravidanza, dice “...metterai dell’orzo e del grano in due sacchetti di tela che la donna bagnerà ogni giorno con la sua urina. Se orzo e grano germoglieranno entrambi, la donna partorirà. Se germoglierà prima l’orzo nascerà un maschio, se prima il grano, una femmina. Se nessuno dei due germoglierà, ella non partorirà...” Nel 1933 J Manger (*) ripetè l’esperimento che diede però un risultato opposto: l’orzo nasceva prima per effetto dell’urina di donne gravide di un feto femminile e il grano per l’urina di donna gravida di un maschio.
Ma un esame più accurato del documento originale egizio permise di riconoscere un errore di traduzione: l’onore della medicina egizia era salvo.
*J. Manger, citato da L. Sterpellone in STRATIGRAFIA DI UN PASSATO, Punto e Linea, Milano.
IMMAGINI
Pag.
La dea Sekhmet
Frammento del codice di Hammurabi (1728 – 1686 a.C.)
Caduceo con dedica a Nigshzida, dio della guarigione (Civiltà Sumera 2.200 a.C.)
Imhtep
(VI dinastia) Museo di Berlino
Papiro di Shith (1700 – 1600 a.C.)
Il dio Thot
L’Ibis sacro (legno policromo sec. VII – VI a.C.), Hannover, Museo Kestner.
Il medico Iapice estrae una freccia dalla coscia di Enea. Pompei, casa di Sirico.
Asclepio e sua figlia Igea (IV sec. a. C.). Atene, Museo Archeologico Nazionale.
Empedocle di Agrigento (483-8 a. C. e il 423 ca.)
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