Anno 4 - N. 10 / 2005


salute OGGI come IERI

ABBAZIE MONASTERI CONVENTI

Scorci tra misticismo, cultura secolare, benessere per l’anima e ospitalità

di Ambra Morelli



San Ugo di Grenoble nel refettorio dei Certosini

Francisco de Zurbaràn (Fuente de Cantos, 1598 - Madrid, 1664)

Siviglia, Museo delle Belle Arti

Cresce il bisogno di spiritualità. La si cerca in luoghi silenziosi, in contrasto con la vita frenetica che distingue i nostri tempi. La si cerca nei momenti liberi da attività quotidiane vertiginose, nei momenti liberi dalla necessità di riempire continuamente ogni attimo della nostra vita con “qualcosa da fare”. Si tentano insomma ritmi diversi che si possono trovare nei luoghi dello spirito: conventi, abbazie, monasteri, luoghi che da sempre sanno offrire questo tipo di rifugio.
Nel passato erano anche ostello per i viandanti, oggi alla stessa propensione ospitale, si è aggiunta una nota di turismo sapiente, raffinato ed essenziale: principalmente si occupano dell’esigenze dell’interiorità ma buttano un occhio anche alla gradevolezza del soggiorno.
L’atmosfera offerta è ricca di arte, cultura, storia dell’uomo, storia degli alimenti, storia del gusto. Sono luoghi in cui nei tempi si svilupparono, studiando e scoprendo o enfatizzando qualità di produzione dei cibi che si sono diffuse e sono ancora oggi in uso in tutti gli ambienti.
“L’ozio è nemico dell’anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro che si farà in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio…”
“Ora et labora”, preghiera, lavoro e silenzio: erano nel medioevo alla base della vita monastica. Il misticismo, e quindi l’elevazione verso Dio, era favorito dalla mortificazione delle pulsioni , tra cui la privazione del cibo o perlomeno il “nutrimento” ridotto all’essenzialità: solo legumi, uova, formaggio, frutta, pane e vino che non mancava mai.
Tra i monaci più severi era bandita anche la carne sostituita con il pesce a cui la religione cristiana dona un significato particolare. Simbolo grafico del cristianesimo, esso era un alimento consumato nei monasteri, soprattutto quando si praticava l’astinenza dalla carne, era infatti una vivanda ammessa da tutte le Regole.
Sicuramente mangiare è un atto collettivo e si fa insieme nel refettorio.
All’abbazia di Cluny, tra le più importanti nel mondo cristiano dell’epoca, si alternano durante l’anno un menù invernale e uno estivo: la differenza era nel numero dei pasti, due in estate quando le ore di luce sono maggiori e quindi anche il periodo giornaliero di lavoro più cospicuo. Nel periodo invernale invece si mangia una volta al giorno. Solo nei giorni festivi i pasti diventano due.

La giornata era divisa secondo un ordine preciso: c’era un tempo per pregare, per lavorare, per mangiare, per riposare.
La preghiera dunque era il principale dovere dei monaci che vivevano del lavoro delle proprie mani, di lavori agricoli, tipicamente il lavoro nell’orto all’interno del monastero, che consentiva loro l’autonomia alimentare.
Se nel medioevo l’orto era presente in ogni casa, ricca o povera che fosse, nel monastero orti e frutteti assumevano importanza fondamentale, i codici miniati dell’epoca ne danno grande rilievo; vi si producono gli alimenti che si troveranno sulla loro mensa: verdure, legumi, frutta distinguono infatti la dieta dei religiosi. Assieme agli ortaggi si producono anche spezie ed erbe medicinali. La conoscenza dei monaci sugli effetti salutistici delle erbe è arrivata fino a noi con la produzione di distillati d’erbe, prodotto che si può trovare tipicamente e ancora oggi al monastero.
Col tempo la severità della vita monastica tende a diminuire: aumentano le mansioni perché crescono i patrimoni grazie ai lasciti testamentari e quindi anche i doveri amministrativi. Modifica un po’ anche la propensione all’isolamento, il monastero diventa ospizio: dà accoglienza ai viandanti in un periodo in cui era difficile trovare altro genere di ostello lungo le vie. I monaci offrivano ospitalità ai viandanti ma avevano anche funzione di ricovero ospedaliero. Bussavano alle porte del monastero persone in viaggio: commercianti, nobili, pellegrini e … malati, le dispense dovevano essere ben fornite.
Questo diverso tipo di ricovero portò anche allo sviluppo di una cucina salubre, di ricettari per i malati. Ad occuparsi della cucina erano quei monaci, o monache, che sapevano utilizzare le indicazioni dietetiche scritte nei vecchi manoscritti e che conoscevano l’effetto salutare delle erbe medicinali. Questo divenne abituale e, progressivamente, consuetudine somministrare medicamenti col cibo.
Tutto ciò fa allontanare un po’ il monaco dalla vita di preghiera e lo fa avvicinare un po’ di più alla vita terrena, alle faccende quotidiane. Anche la qualità e la quantità del cibo cambia, da frugale diventa vario ed abbondante. L’estensione dei terreni e la capacità dei monaci di sfruttare anche terreni dalla difficile coltivazione dava rese alte tanto da consentire, per il sovrappiù, la vendita dei prodotti. Un esempio furono i monaci cistercensi che divennero validi imprenditori agricoli sapendo trasformare terreni incolti e malsani in luoghi di produzione.
Spesso, infatti, i terreni donati ai monaci da parte dei nobili erano da bonificare: boschi, paludi o luoghi comunque incolti. I cistercensi si dedicarono soprattutto alla bonifica di zone paludose e loro fu, probabilmente, l’invenzione della coltura a rotazione triennale, tecnica produttiva che consentiva di non esaurire il terreno alternando il tipo di pianta di produzione. Loro anche l’invenzione delle marcite per mantenere la produzione anche nel periodo invernale e l’organizzazione dei terreni produttivi in grange, ossia villaggi agricoli, piccole concentrazioni di edifici e strutture che evitando la dispersione di risorse, consentivano una migliore amministrazione e organizzazione.
Durante il medioevo anche la viticoltura, finalizzata alla produzione di vino da messa, fu mantenuta grazie all’opera dei monaci all’interno dei chiostri: ogni comunità doveva avere una fonte di vino locale. Col tempo, con la produzione di vino, i monasteri poterono anche guadagnare denaro e i vigneti di molti monasteri divennero noti per la produzione di vini estremamente raffinati e di qualità. Arcinota l’opera di Dom Perignon (1639-1715), monaco benedettino dell’abbazia di Hautvillers, che grazie alla sua grande cultura enologica, riuscì a trasformare il vino di Champagne in vino spumante, noto universalmente. Ma si svilupparono anche zone di produzione tradizionalmente vicine a sedi vescovili come la Toscana per Firenze, Treviri in Renania e vicino alle corti papali come Roma o Avignone. Curioso pensare che le prime vigne in California furono impiantate dai francescani, missionari nella regione.
La bevanda bevuta abitualmente era però un prodotto a base di grano: la birra. I monaci seppero creare e tramandare regole tecnologiche specifiche, il luppolo, per esempio, fu introdotto come aromatizzante nella produzione di birra al posto di spezie, bacche o erbe aromatiche.
Le realtà di questo vasto mondo si susseguono alle leggende come quella che ha dato luogo ai “Brigidini”, sorta di dolce a forma di cialda. La narrazione tradizionale assegna l’idea di questo biscotto alle monache devote di Santa Brigida le quali avevano il compito della produzione di ostie per la comunione. Una di queste però un giorno sbagliò l’impasto e per non sprecare la preparazione aggiunse dell’anice e lo propose per il pasto domenicale. Ecco fatto: da un errore nacque una vivanda, molto apprezzata ormai divenuta un classico. Da questa secolare cultura di spiritualità e ospitalità nasce il motto “il buon cibo tiene uniti corpo e anima” che non trova miglior ambito per esprimere il suo pieno significato, ancor oggi sicuramente cercato e scovato, nei vari e numerosi chiostri che punteggiano il nostro territorio.