Anno 4 - N. 10 / 2005


Il caffè delle muse

Clara Caudana e Mario Luzi

di Francesco Piscitello




Clara Caudana è argentina. Canta. Lo fa anche senza una musica che l’accompagni ed il canto, monodico, non ne esce mutilato e scabro: ci pensano, ad amalgamare note e voce, la soavità con la quale riveste il testo di melodia.
La grazia del gesto e del volto, l’intensità dello sguardo fanno il resto ed avvolgono l’ascoltatore in un’atmosfera di malinconica dolcezza. Ma non sapevo che scrivesse.
Mi ha inviato qualche verso che propongo qui in una sommaria traduzione, della cui qualità chiedo scusa all’autrice.

Oggi nel pomeriggio, una tempesta:
tuoni, verde, acqua a fiotti, lampi.
A secchi piovevano le illusioni, le speranze,
e i segnali remoti di altri tempi,
e le promesse fervide,
e i famelici cani del domani.
E dopo,
quando la furia sublime e tenera ebbe fine,
ricominciò il mondo dal suo primo inizio.
Vedemmo, come appena nata,
la palpitante intrepidezza del pomeriggio nuovo.

I versi di Letizia Lampertico - che non conosco personalmente - mi fanno tornare alla mente Umberto Eco il quale, cercando una forse impossibile definizione della poesia, disse che si tratta di una composizione letteraria nella quale è lecito andare a capo prima che sia finita la riga.
Provocazione intellettuale?
Ma neanche per idea. Tacque però, Eco, il fatto che andando a capo si può anche cominciare la riga successiva non dal suo inizio ma da qualsiasi punto decida l’autore il quale, giocando con gli “a capo” e con la lunghezza dei versi, può comporre un testo che, stampato, ha una forma: una poesia disegnata, una poesia visiva.
Ne ha scritte, ad esempio, Jorge Eduardo Ejelson, uno dei più grandi artisti contemporanei - opere al MOMA, alla fondazione Rockefeller... - ed anche uno dei principali poeti di rottura, sperimentali, in lingua castigliana: anche in forma di uccello. Poesìa en forma de pàjaro, s’intitola.
La Lampertico scrive versi centrati e l’intera poesia ha un asse verticale di simmetria, come un’epigrafe.

...opaca
come la pelle del mio viso,
sporcata dai segni,
come la polvere umida
di nero
che vischiosa
sale dai miei passi di sempre...

Dovrò domandare a questa poetessa, se avrò occasione di conoscerla, la ragione del conferire forma, sagoma (sia pure astratta e geometrica, non figurata come il citato pàjaro) - che è un artificio non raro e certamente moderno - ad una poesia che invece è fortemente intimista e addirittura autobiografica: l’opposto cioè della parola poetica contemporanea che rifugge da questo tipo di contenuti.
Ma contrasto, contraddizione, dissidio sono forse - chissà - proprio il biglietto da visita che la Lampertico intende porgere a chi legge.


MARIO LUZI

“Facendo un bilancio di tanti anni, direi che non ho avuto molto. Ho ricevuto gratificazione da singole persone, che hanno espresso apprezzamento della mia poesia. Ma dall’ufficialità non ho avuto molto, neppure sul terreno pratico.” La constatazione è amara ma incontestabilmente vera. Il potere politico italiano è sempre stato alquanto distante da Mario Luzi che solo poco prima di compiere i novant’anni, nell’ottobre 2004, ottiene un ufficiale e significativo riconoscimento: il Presidente della Repubblica lo nomina Senatore a vita per il grande contributo al prestigio culturale del nostro paese. Lo sarà per poco, e non senza polemiche.
Post mortem qualcosa accadrà. Una via, una piazza in qualche quartiere periferico di questa o quella città gli verranno dedicate, a parziale indennizzo di un premio Nobel mai assegnato, nonostante le numerose candidature.
“È morto il Senatore - ha detto Dario Fo - perché il Poeta resterà sempre con noi”.
Il Caffè delle Muse se lo augura e vi si associa: Luzi è stato tra i più grandi poeti italiani del novecento.