Anno 4 - N. 10 / 2005


LA SEPOLTURA DEL CUORE

“IL CUORE STA NEL CENTRO DEL TORACE COME UN RE AL CENTRO DEL SUO REAME “

Le spoglie del defunto, private del cuore e degli altri visceri, vengono inumate in gran segreto pochi giorni prima del funerale ufficiale, pratica in uso nel tardo medioevo francese

di Alvaro Vaccarella



Autopsia - (ms. Ashmole 399,1290) Bodleian Library di Oxford


Giovanni Ricci ha scritto un libro di grande interesse per quanti si accostano alla storia del cuore. Si intitola Il Principe e la Morte (Bologna 1998) e racchiude il prezioso racconto del funerale di Ercole II d’Este (1508-1559) avvenuto nel 1559. Cos’ha di tanto straordinario la cerimonia funebre del nobile signore di Ferrara rispetto ad altre pompose, e per alcuni versi simili, esequie di un duca del XVI secolo? Semplice: le spoglie del defunto, private del cuore e degli altri visceri, vengono inumate in gran segreto pochi giorni prima che il funerale ufficiale, quello pubblico, sia celebrato con tutto il fasto e la magnificenza di una corte rinascimentale italiana.
Una statua del duca, vestita ed ornata di tutto punto, diviene l’oggetto dei riti che accompagnano il morto alla sepoltura, e un cadavere posticcio (un’effige di stucco, riporta puntigliosamente Ricci dalle cronache del tempo) viene in sua vece inumato
Ciò per alcuni versi rimanda alla tradizione tardo medievale dei re francesi, che seppellivano a - Saint Denis - i corpi imbalsamati dei sovrani, e altrove i loro cuori. Gli uni e gli altri in tempi e modi differenti.
In realtà fu Borso d’Este (1413-1471), antenato di Ercole II, nel 1471 a seguire la moda francese, essendo stato imbalsamato e sepolto alla Certosa, mentre cuore e intestini venivano donati alla chiesa di San Paolo e ivi solennemente racchiusi in una colonna, con i canti e le preghiere della liturgia funebre vera e propria.
Gli storici sono concordi nell’identificare i funerali della sposa del re Luigi XII (1462-1515), Anna di Bretagna, deceduta a Blois nel gennaio del 1514, come i più fastosi fra quelli con doppia sepoltura mai celebrati fino a quel tempo. Forse a questa fama ha contribuito la trascrizione degli eventi in una trentina di libri, che furono donati ai principali dignitari francesi e a molti ambasciatori e che sono giunti fino a noi. A completamento di tale corposa documentazione, inoltre, vi sono anche le cronache redatte da Jacques Guischart per ricordare le cerimonie organizzate dalla città di Nantes per tributare i dovuti onori al cuore reale, colà seppellito.
Prima di lei diversi altri regnanti Capetingi avevano ricevuto gli onori di un doppio funerale: uno per le spoglie del corpo, uno per i visceri, e le tracce che hanno lasciato, seppure meno eclatanti, ci consentono di ricostruire un percorso cerimoniale in cui il cuore riveste il ruolo di co-protagonista. Vi sono documenti che testimoniano come Carlo V, re di Francia (1338-1380) Luigi I (Luigi II, 1386-1400) e Renato I (Renato I il Buòno 1409-1480) re di Napoli e di Sicilia, duchi d’Angiò, e altri nobili d’alto lignaggio ebbero una doppia sepoltura.
Sono state formulate diverse ipotesi. Si è parlato di necessità contingenti: trasportare una salma per lunghe distanze senza che questa si decomponesse era praticamente impossibile. Luigi 1X (1214-1270), il santo re francese, morì a Tunisi nel 1270. Le sue viscere, per volontà del fratello Carlo d’Angiò si arrestarono a Palermo, ove vennero inumate nella cattedrale di Monreale. Il corpo proseguì, come d’obbligo, per Saint-Denis. Argomentare che in un simile percorso qualunque umana spoglia sarebbe andata incontro a putrefazione non richiede grande fantasia.
Quando si tratta di cerimonie religiose, come appunto le cerimonie funebri, tuttavia, non sempre una giustificazione ‘logica’ (o banale, o ovvia) sottintende allo sviluppo del rito. Così altri suggerimenti ci vengono alla mente per dar conto della smembramento del corpo morto. Potremmo, per esempio, arguire che quanti più funerali le membra divise erano in grado di ricevere, tanto maggiore era il numero di preghiere che raggiungevano il Cielo a intercedere per l’anima del defunto. E ancora: nel dettare le volontà testamentarie solo disponendo che il corpo fosse diviso era possibile, almeno in parte, far ricongiungere le proprie spoglie con quelle degli affetti più cari (fossero essi figli, spose o genitori), che riposavano nella tomba di famiglia, senza venir meno agli obblighi istituzionali che pretendevano la sepoltura presso il mausoleo di stato (Saint-Denis in Francia, la Cripta dei Capuccini in Austria e così via). Quasi a sottolineare che il lungo sonno accanto a chi ci ha voluto bene, in una vicinanza che ha ancora i caratteri della fisicità, è più dolce, o per lo meno appare meno pesante, che nella solitudine di vicinanze estranee.
Fra gli strumenti degli storici, pertanto, vi è anche lo studio delle volontà testamentarie dei regnanti, che diviene momento di non secondaria importanza nella ricostruzione di un ambiente a noi temporalmente lontano, ma i cui influssi non sono andati perduti a giorni nostri. Apprendiamo dunque che Carlo VIII (1470-1498), la cui morte intervenne nel 1498, aveva disposto che il suo cuore giacesse accanto a quello del padre, nella collegiale di Notre-Dame de Cléry.
Non va fatto a questo punto della narrazione, altro che un accenno, ancora una volta, al simbolismo del cuore, qui osservato con gli occhi dell’intimità familiare.
Quale altro viscere, nell’immaginario collettivo avrebbe potuto giacere nella tomba della famiglia di provenienza, accanto alle persone care per condividere il riposo eterno, se non il muscolo cardiaco, saldo e impenetrabile contenitore dei sentimenti più intensi e profondi?
Ma si potrebbe anche identificare una valenza politica nella doppia (se non multipla) sepoltura. Ricordando che Anna di Bretagna non aveva mai rinunciato alla propria eredità dinastica, Murielle Gaude-Ferragu, nell’esaustivo saggio Tombeaux et funérailles du coeur en France à la fin du moyen àge (Turnhout –Belgio- 2003) sottolinea come l’abbazia di Saint-Denis avesse ricevuto il corpo della regina di Francia, e i carmelitani di Nantes avessero dato sepoltura al cuore della duchessa di Bretagna.
Incontriamo la metafora politica tanto in Francia: “Il cuore sta nel centro del torace come un re al centro del suo reame” scriveva Henri de Mondeville, chirurgo di corte di Filippo il Bello, quanto in Inghilterra “Il Re non è il capo, ma il cuore del corpo politico”, affermava Thomas Starkey (c. 1495–1538), cappellano di di Enrico VIII (509-1547).
Ciò tuttavia non basta, io credo, ad esaurire le infinite e per alcuni versi insondabili ragioni del distacco del muscolo cardiaco dal resto del corpo, e della sua autonoma sepoltura. A onor del vero, va riferito che non tutti i regnanti, nelle disposizioni testamentarie, diedero istruzioni per una sepoltura separata di membra e cuore, in ciò anche condizionati dall’atteggiamento delll’autorità ecclesiastica.
Quanto sia politico e quanto sia religioso l’intervento di Bonifacio VIII che con la bolla Detestandae feritatis abusum condanna, nel 1299, pena la negazione di cristiana sepoltura al defunto e scomunica all’esecutore testamentario, lo smembramento del corpo morto, non è stato acclarato. Tre sono, nel pensiero del pontefice, le barriere che proteggono il cadavere e ne vietano la violazione della sua unità: la volontà divina, l’umana sensibilità e la pietà cristiana. Forse tra i regnanti la condanna papale ebbe più l’effetto di arrestare la pratica della scarnificazione per bollitura, come suggerisce il Ricci, piuttosto che prevenire il doppio funerale. Tant’è che un altro papa, Clemente VI a distanza di poco più di cinquant’anni (nel 1351 per la precisione) ripristina la concessione, per i soli re e regine di Francia, della divisione dei corpi.
E così, lasciando agli storici il compito di elencare minuziosamente quanti, fra i nobili di Francia alla fine dl medioevo, furono sepolti una sola volta, e quanti, al contrario, furono oggetto di esequie duplici (per non dire multiple), noi ci limitiamo a constatare che la pratica della doppia inumazione, e l’edificazione di monumenti (talora veri e propri capolavori dell’architettura funeraria) destinati ad ospitare il cuore del defunto, era riservata ai nobili di altissimo lignaggio (per lo più di stirpe reale) francesi.
In un caso (Borso d’Este) lo stesso cerimoniale fu introdotto in una corte italiana e in un altro (Ercole II) le esequie furono sì doppie, ma senza che il cuore fosse protagonista.
Non a caso ciò avvenne a Ferrara, la più vicina fra le signorie italiane alla corte di Parigi, non foss’altro che per i vincoli di matrimonio. Moglie di Ercole II era infatti Renata, figlia del re di Francia Luigi XII e di Anna di Bretagna, le cui esequie, duplici e solenni, abbiamo sopra rammentato. Un’altra Anna, questa volta figlia di Renata e Ercole, era andata in sposa nel 1559 a Francesco di Lorena, duca di Guisa, esponente di una delle maggiori casate del paese transalpino alla monarchia francese.
Non sappiamo quanto l’immaginario collettivo e la fantasia popolare siano stati influenzati dalla pratica della sepoltura di un singolo organo, quello cardiaco, nel costruire quell’immagine di cuore giunta attraverso il filtro dei secoli fino ai nostri giorni.
Sappiamo però che alle esequie, solenni e fastose, prendeva parte la popolazione intera della città, che ne permeava gli spazi, anche i più lontani dal centro (di un potere fisico e simbolico) e dilatava nel tempo i riti (non soltanto liturgici) che sovrapponevano al raccoglimento religioso antiche usanze pagane e riconducevano spesso alla rifondazione di un ordinamento politico e sociale.
La morte di un sovrano, infatti, racchiude una valenza di incertezza e di vuoto di potere che il corpus sociale interpreta secondo canoni stratificati dalla storia e dal tempo.
Ancora una volta, come spesso accadde e accadrà, al centro (il sostantivo è voluto) di un fatto così rilevante come la morte e la sepoltura di un sovrano si erge il cuore, esprimendo e caricandosi di significati simbolici di grande valore e sino ad oggi, forse, non sufficientemente studiati.