Anno 3 - N. 9 / 2004


Il caffè delle muse

di F.P.




di Francesco Piscitello

Fra tanti ciotoli
Sparsi

Quello solo
Riluce.

Ha l’immediatezza fulminea di un haiku questa breve lirica - Sulla riva è il titolo: e fa parte, come le altre, della raccolta “Nel silenzio” (GIR, Milano - 2003) - di Elena Granata.

SOLA

Davanti un frigorifero
Fastidioso

Una vecchia radio
Spenta

Fuori nevica
Cambia il paesaggio.

E ancora


TRAM

Arranca sferraglia
Orizzonte coatto

Accalcato
Nel vociare di lamentele
Convive a fatica

È solo un numero
Poi va in rimessa


Occorre conoscerla almeno un po’, Elena, per trovarla somigliante alla sua poesia. Ipercinetica, ti si presenta come un vulcano, un terremoto di parole, di gesti. Ma poi prende la penna e scrive.
La sua parola poetica somiglia più all’Elena che non si vede. Che è sommessa, discreta. Quasi trasparente, il verso suggerisce, come scrive Marco Margnelli nella prefazione “...sensazioni così rarefatte che solo sapendo fare il vuoto dentro sè stessi si possono sentir risuonare”. Già, fare il vuoto dentro sè stessi. Come se fosse facile! Eppure è necessario. Fare il vuoto ed accoglierlo, il verso. Il verso di Elena, voglio dire. Non toccarlo, non sfiorarlo nemmeno. È cristallo, si rompe.
Assai meno fragile - ed è ceramica! - è invece la produzione di Patrizia. Forse si tratta soltanto di una mia soggettiva percezione: ma mi pare forte, solida.
Quando l’ho conosciuta, Patrizia Pompeo, il tema di questo suo lavoro è uscito quasi subito, non so come. Fugacemente, però. Tanto da consentire il formarsi, nella mia mente, di un’immagine non veritiera, dell’immagine di composizioni floreali, di trionfi di frutta - margherite, rose, convolvoli; pesche, uva, mandarini - dipinti su piatti e zuppiere con grazia femminile, paziente e delicata. Un’idea gozzaniana.
Poi, un giorno, mi invita ad una mostra collettiva dove sono esposte anche opere sue. E qui, la sorpresa: la ceramica non la dipinge, la fa.
Il carattere fisico di questo materiale evoca, per motivi più che evidenti, un’idea di delicatezza, di fragilità: ma Patrizia, in gran parte delle sue composizioni (in quelle almeno che a me piacciono di più), sa conferirle forza, solidità. Il disegno - il segno, vorrei dire, quasi si trattasse di un’opera grafica - prevale con la sua perentorietà, con la determinazione che proviene dal rigore della geometria che lo ispira e lo informa, sugli aspetti cromatici i quali, a lor volta, sono tutt’altro che timidi od esitanti. La fragilità della materia trae forza, vigore, dalla forma che le viene impressa: e l’occhio che guarda l’oggetto non può che suggerire alla mente l’immagine della mano, del dito, che lavorano l’impasto e l’idea della decisione, della sicurezza con cui pezzi di creta vengono aggiunti, tolti, modellati.
La parola, per Gabriella Colletti, è quello che la creta è per Patrizia: un materiale da trattare senza timidezze. Con forza, fermezza, decisione. Con consapevolezza. Con grande rispetto, però: per la parola e per chi la legge. L’idea della creta mi riporta ad un’immagine - fra le più belle - del TAO TE CHING di Laotzu: Il vasaio fa il vaso, ma è il vuoto quello che serve. E mi pare, questa, un’appropriata metafora del lavoro poetico di Gabriella. È il vuoto quello che serve. ...

Sulla coperta silenziosa
della notte, il respiro calmo
della fontana ...

Frammento de La fontana - da “Cento poesie del cuore” (NUOVE SCRITTURE, Milano - 2004) - questi versi non sono racconto, non sono emozione, non sono memoria: sono scenario. Nello scenario è il lettore che colloca racconto, emozione, memoria. I suoi. Il poeta si fa da parte: più che un evento poetico, la parola crea uno spazio poetico. Che il lettore riempie.
Con questa premessa, l’approdo allo haiku della tradizione giapponese era fatale. In questo tipo di composizione di tre versi, rispettivamente di cinque, sette, cinque sillabe, questo spazio è, come dire?, istituzionale. Il kireji, termine giapponese intraducibile, reso in italiano dalla locuzione “salto logico-grammaticale”, è infatti obbligatorio nello haiku. Il kireji, una cesura (non verbale: mentale) che lascia come sospeso il discorso poetico generando una pausa, è proprio questo: il vuoto del vaso.

Albero spoglio
clavicembalo muto.
Scende la notte.

E con questo delicato haiku di Gabriella, il CAFFÉ DELLE MUSE abbassa la saracinesca.