Anno 3 - N. 9 / 2004


UN VIAGGIO SUL NILO DI (QUASI) 2000 ANNI FA

“Labirinto e groviglio filo d’Arianna così ti dipani”

“Nella mitica terra delle meraviglie la vita poteva ben diventare un poema in un limpido giorno della storia di Roma, al tempo di Adriano”.

di Giulio Cesare Maggi



ANTINOO (disegno in bianco e nero con colpi di biacca su carta grigia, 1781)

Jean Grandjean (Amsterdam, 1752 - Roma, 1781)

Dal 1734 la statua di Antinoo fu esposta nel Museo Capitolino, da poco fondato, in Roma: essa costituì "il modello per gli artisti" alla ricerca delle proporzioni ideali di un modello classico. Grandjean morì a Roma durante la sua visita in Italia.

Il viaggio sul Nilo è oggi, come lo fu sempre, un evento memorabile nella vita dell’Uomo e nel trascorrere delle civiltà.
La storia di quella che viene chiamata la riscoperta dell’Egitto perduto è lunga e complessa: qui solo si ricorderanno alcuni dei grandi viaggiatori del passato, grazie ai quali possiamo oggi fruire di quell’incomparabile godimento dei sensi e dello spirito che attraverso i tempi ha costituito, e ancor oggi costituisce, il viaggio in Egitto ed in particolare quello sul Nilo.
Basterà ricordare, tra gli antichi, Erodoto (tra 449 e 440 a.C.) e Dione Siculo (80 a.C.), che entrambi hanno lasciato nei loro scritti la descrizione di quel Paese e della sua storia.
Nel 30 a.C. Strabone risale il Nilo fino alla prima cateratta, facendo un’ampia relazione del viaggio in Geographika, per la verità più attento agli aspetti religiosi dell’Egitto, esaminati nel suo De Iside et Osiride.
I conquistatori romani dell’Egitto, che succedettero alla dinastia dei Tolomei, ebbero attraverso questo libro molte notizie relative in particolare alle divinità egizie ed alla cultura ellenistica. Dai presidi militari presenti fino ai confini dell’Etiopia ottennero invece informazioni sull’economia di quel Paese che per l’Impero Romano significava una fonte importantissima di grano, di granito (dal famoso Mons Claudianus) e in particolare dell’indispensabile papiro.
Dopo questi scrittori, dell’Egitto, per secoli non restò che un vago ricordo letterario, malgrado la frequentazione dei porti mediterranei, ora in mano ai nuovi occupanti arabi (642 E.V.): furono soprattutto i mercanti della Serenissima e delle altre repubbliche marinare italiane, che ivi avevano aperto fondachi e sedi commerciali e talora i Crociati diretti in Terrasanta a riportare l’attenzione su quella terra.
Una mappa conservata alla Biblioteca Marciana di Venezia, opera di Frà Mauro Camaldolese (1459) rappresenta l’Egitto ed il Nilo, con un decorso tortuoso ed alquanto fantastico. Egualmente alla Marciana si trova una bellissima mappa del 1554, opera di Battista Agnesi: qui il decorso del sacro fiume appare più aderente alla realtà e si rifà alle celebri mappe di Tolomeo. Nel 1589 l’ ”Anonimo veneziano”, un mercante del quale si ignora il patronimico, si spinse fino a Tebe: egli presentò al Maggior Consiglio della Serenissima un rapporto su quanto aveva potuto osservare.
Assai meno noto è il viaggio compiuto dal nobile romano Pietro della Valle che nel 1614 visitò al-Kahira (Il Cairo) procedendo verso il celebre monastero di Santa Caterina, per raggiungere poi la Persia ed altri paesi dell’Oriente: di lui fa ampia menzione Goethe in un saggio che compare alla fine del “Divano Occidentale-Orientale”.
Da allora e dopo Sieur Lucas, ricordato dalla Yourcenar, non pochi furono i visitatori europei che risalirono il Nilo, fino alla spedizione napoleonica del 1798. Dall’Ottocento ogni persona di buona cultura non potè esimersi da percorrere, almeno una volta nella vita, il viaggio sul Sacro Fiume, sulle orme di un passato sempre presente al nostro spirito.
In occasione di un tale viaggio sul Nilo con un gruppo di amici, ebbi modo in navigazione di rievocarne uno particolarmente interessante, di poco meno di venti secoli fa, quello dell’Imperatore Adriano, uno degli ultimi spiriti liberi dell’antichità.
Dopo il periodo dei Cesari con i regni di Nerva e Traiano, l’Impero Romano uno ne conobbe di grande, sotto il profilo culturale ed artistico, sotteso a un émpito verso una spiritualità mai prima conosciuta.
In quel periodo “gli dèi non c’erano più, Cristo non c’era ancora: tra Cicerone e Marc’Aurelio ci fu un momento tragico in cui è esistito l’uomo, solo” sottolinea Flaubert.
È qui che l’erede di Traiano, Elio Adriano, si erge come uomo di statura culturale e morale eccezionale, volto alla ricerca del destino immortale dell’anima.
La vita di Adriano ci è nota dai suoi storici, Elio Sparziano (Vita Hadriani in Historia Augusta), Dione Cassio (Historia Romana), Aurelio Vittore (Epitome), e dal Sommario del monaco bizantino Sifilino (XI secolo), essendo le sue memorie, raccolte dal suo liberto Flegone e che Sparziano potè leggere, pressoché totalmente perdute.
Molto è stato scritto successivamente su Adriano, in particolare sui suoi viaggi (Flemmer; Greppo; Dürr) soprattutto nell’Ottocento in Germania.
Tuttavia i due libri cui deve ispirarsi chi ha voglia di riproporne la memoria sono fondamentalmente “La vita di Adriano” di Ferdinand Gregorovius (1884) e “Mémoires d’Hadrien” di Marguerite Yourcenar (1951), uno dei capolavori letterari del XX secolo. Quasi cento anni separano questi due libri, quello di Gregorovius, storico soprattutto attento alle fonti (Quellen) da quello della Yourcenar, che del personaggio dà un’interpretazione psicologica e poetica di alto momento pur senza ignorare gli eventi storici.
Publio Elio Adriano, successore di Ulpio Traiano per merito soprattutto della di lui vedova Plotina Augusta, nasce nella provincia Betica ad Italica nel 76 d.C., in seno alla tribù Sergia.
Percorre il cursus honorum, spesso a fianco di Traiano, del quale era cugino in secondo grado; si distingue in campagne militari vittoriose, in particolare quelle danubiane, rivestendo la carica di Questore, in realtà aiutante di campo, pur coltivando lingua, letteratura ed arte greca: del resto, non ancora Imperatore, era stato nominato dai Greci Arconte nel 112 d.C. Della amatissima Atene sarà il ricostruttore come testimonia ancor oggi l’arco che indica “Qui finisce la città di Teseo” e sul lato esterno “Qui inizia la città di Adriano”.
Artista egli stesso scolpisce, dipinge, studia medicina, eccelso nei vizi e nelle virtù; fautore dell’ellenismo in Roma: “curiositatum omnium explorator” lo definì lo scrittore cristiano Tertulliano. Diventato Imperatore nel 117 d.C., visiterà durante viaggi senza fine lo sterminato Impero Romano.
Come ogni spirito colto della sua epoca fu attento cultore dei riti misterici, quelli eleusini non meno di quelli mitriaci, di quelli di Samotracia ed isiaci, in onore dei quali aveva fatto completare, forse da Apollodoro, il Pantheon di Agrippa.
Amante del “bello” fu, a modo suo, seguace di quella sapienza che da Pitagora agli Stoici formava allora un unico modello per quanti aspiravano, in modi diversi, ad un destino non perituro e sovrannaturale dell’anima.
Sicuramente più di uno erano i motivi che spinsero Adriano a intraprendere nell’estate del 130 d.C. il viaggio in Egitto. Non solo il dovere di controllare questa importante provincia dell’Impero Romano: anche allora il viaggio in Egitto rivestiva la stessa curiosità che esso suscita in noi. Si aggiungevano l’interesse per la cultura ellenistica, così viva nel Delta del Nilo, il desiderio di visitare la città fondata nel 332 a.C. da Alessandro, nonché quello di conoscere questo strano popolo che adorava divinità zoomorfe e che possedeva sapienza e coltivava riti misterici.
Questo antichissimo e civilissimo Paese era caduto in mani romane nel 30 a.C.: esso contava all’epoca otto milioni di abitanti tra Egizi, Greci ed Ebrei. Provincia Imperiale (i Senatori per accedervi dovevano ottenere l’autorizzazione dell’Imperatore) era governata da un viceré (eparchos). Divisa in 46 nomi, le sue strade si spingevano fino all’Etiopia (Hiera Sychaminos). Due legioni romane, la II Traiana e la XXII Deiotarana, controllavano a stento il vasto ed irrequieto Paese.
La partenza avvenne da Pelusium, il porto commerciale e militare strategicamente posto tra Egitto, Arabia e Palestina, come Adriano aveva chiamato la Giudea. Qui si trovava, in un Sacro Boschetto, la tomba di Pompeo, fatta costruire da Giulio Cesare e successivamente, all’epoca di Traiano durante la Guerra Giudaica descritta da Flavio Giuseppe, danneggiata dagli Ebrei d’Egitto. Per disposizione di Adriano si provvide al suo restauro.
L’armo imperiale, con a bordo Adriano, l’Imperatrice Sabina Augusta, il favorito Antinoo, forse Lucio Vero pare non ancora affiliato, nonché poeti, storici, scienziati e architetti, iniziò il suo viaggio nel Delta.
Attraverso il canale Canopo fu raggiunta Alessandria, la splendida città che poteva gareggiare con Roma per bellezza di monumenti, godendo inoltre di una posizione geografica straordinaria che la poneva al centro di tre continenti. Vi dominava il dio danaro : “Nummus illis est deus” scriveva Adriano al cognato Severino. A questo proposito i Romani avevano una cattiva opinione di Egizi, Greci ed Ebrei d’Egittto tanto che non concessero mai loro, per motivazioni etiche, la cittadinanza romana.
In quest’occasione Adriano visitò la tomba di Alessandro Magno, nel Soma, come del resto avevano fatto prima di lui Cesare, Ottaviano Augusto, e dopo di lui avrebbero fatto Settimio Severo e Caracalla, il quale vi aveva deposte le insegne imperiali. La tomba aveva una copertura di spesso vetro che sostituiva quella d’oro rubata al tempo dei Tolomei. Adriano del resto non aveva mancato di visitare anche quella di Antonio, il condottiero “abbandonato dal dio” come scrive il poeta Kavafis.
A ricordo della visita alla città di Alessandro fu coniata una moneta (una delle passioni di Adriano) che esaltava il “Restitutor Alexandriae”, una delle non poche della monetazione adrianea prive dell’autorizzazione senatoriale (S.C.).
Iniziò così il viaggio sul Nilo. La prima sosta fu a Menfi, capitale della I Dinastia, già coperta dalla sabbia ed i cui materiali erano stati utilizzati per l’ampliamento di Alessandria all’epoca dei Tolomei. Furono qui visitate le Piramidis, la tomba di Ty, il Serapeo, le tombe dei tori Apis, il tempio di Ptah.
La tappa successiva fu Eliopoli: qui Adriano visitò le case dei sacerdoti ove Pitagora ed Eudosio studiarono per anni i misteri della divinità, secondo quanto riferisce Strabone. Molti obelischi giacevano a terra, alcuni spezzati sia a Eliopoli sia a Tebe, città ricchissime allora di questi straordinari monumenti.
Si giunse infine a Besa, sulla sponda destra del fiume, di fronte a Ermopoli: fu una tappa che non sarebbe stata più dimenticata da Adriano.
Qui il favorito di Adriano, Antinoo, il giovanetto bitino, incontrato dall’Imperatore in Grecia tra il 123 ed 124, bellissimo, un vero Adone, annegò nel sacro fiume. “Antinuum suum, dum per Nilum navigat, perdidit, quem flevit muliebriter”: Sabina Augusta sorrise.
Gli autori antichi attribuiscono al caso la morte del bell’Antinoo: si trattò forse di un suicidio rituale, predetto dai sacerdoti egizi, avvenuto nel giorno e nell’ora dell’assunzione di Osirde, e compiuto per salvare la vita dell’Imperatore? Dione Cassio parla di suicidio per favorire una iniziazione di Adriano la quale richiedeva necessariamente un sacrificio umano. Del resto già a Palmira in un precedente viaggio vi fu per Antinoo il sacrificio rituale di un toro (taurobolio) dedicato all’Imperatore.
Nelle sue memorie Adriano parla semplicemente di disgrazia. Chissà…
In questa occasione Adriano, per il suo rapporto con Antinoo, fu paragonato da Arriano ad Achille piangente sul cadavere di Patroclo e ad Alessandro su quello di Efestione.
Il corpo del favorito fu imbalsamato dai tecnici egizi more solito.
La Yourcenar descrive con accenti di commozione tale operazione e fa dire ad Adriano di aver tenuto in mano il cuore del giovinetto tanto amato. Come Osiride Antinoo fu subito divinizzato e ne fu celebrata l’apoteosi. Gli astrologi identificarono nella Via Lattea la stella di Antinoo, che ancor oggi porta il suo nome, sita tra Aquila e Zodiaco: Adriano nella sua ironia di gran signore fece finta di crederci.
Per le solenni esequie fu composta una speciale musica da Mesomere. Ove sia sepolto Antinoo non si è mai saputo.
Radunati architetti e collaboratori l’Imperatore diede ordine di costruire una città Antinoopolis, proprio di fronte a Besa, nel XV nomo, ove oggi è Sheik Abade. La città fu concepita anche come tramite al Mar Rosso per i commerci con le Indie; vie, templi, foro, abitazioni erano grandiosi. Nei secoli Antinoopolis decadde, le rovine furono viste, visitate e disegnate alla metà del ‘600 dal mercante francese Sieur Lucas ed esistevano ancora all’epoca della spedizione napoleonica. Furono poi calcinate e utilizzate per la costruzione di uno zuccherificio sotto Mehmet Ali, verso la metà dell’Ottocento.
Dell’evento rimane traccia anche oggi nei geroglifici incisi sull’obelisco del Pincio e nel grande numero, quasi ossessivo, di statue di Antinoo, spesso in foggia egizia, presenti in particolare nella Villa Adriana di Tivoli ove il Serapeo del Canopo è, con ogni verosimiglianza, dedicato al giovanetto; ne restano esempi nelle incisioni del Piranesi e, forse, nella statua di Antinoo detta del Belvedere, nei Musei Vaticani che però Winkelmann ritenne copia di epoca adrianea di un Ermete psicopompo di Prassitele.
Nei vari paesi dell’Impero Antinoo ebbe templi e cappelle e fu identificato con Dioniso, Apollo, Pan, Hermes: in Italia in genere con Silvano, il dio dei boschi. Molti di questi edifici erano senza statue quasi ad attendere un ritorno, quello di un dio epifane.
La Yourcenar, relativamente all’iconografia di Antinoo, ritiene che quanto a penetrazione psicologica, si debba dare preferenza all’Antinoo del Museo Archeologico di Firenze, il cui profilo la scrittrice definisce nei suoi “Taccuini” che accompagnano le “Memorie di Adriano”, come giovane, serio, dolce. Ma soprattutto fa riferimento al bassorilievo Osio, opera di Antoniano, verosimilmente su commissione di Adriano, ove il viso del giovanetto, circondato da pampini, è dolcemente malinconico: la Yourcenar dice testualmente “Non si può fare a meno di pensare (…) all’atmosfera opulenta di un autunno malinconico”. Così l’aveva immaginato anche Shelley, che ebbe la stessa sorte.
Nell’ottobre del 130 la comitiva giunge a Tebe: il Ramesseum era totalmente ricoperto di sabbia. Era ivi anche il cosiddetto Memnonium, in realtà il grandioso monumento funerario di Amenophis III (XVIII Dinastia, ca. 1405-1367 a.C.): restano oggi di esso i due colossi ignudi del Faraone.
Uno di essi con una lesione conseguente ad un terremoto mandava all’alba un suono simile ad un lamento umano (Strabone, Geographika; Plinio il Vecchio, Naturalis Historia), verosimilmente per evaporazione dell’umidità di condensa notturna.
Adriano ed il seguito vi incisero i loro nomi in greco. La poetessa Giulia Balbilla insultò il colosso, minacciandolo a nome dell’Imperatore poiché restava silenzioso: vi fu incisa una sua piccola poesia in dialetto eolico, ancora leggibile. Il 22 e 23 dicembre il fenomeno si produsse con soddisfazione universale. Il buco fu riparato sotto Settimio Severo con definitiva scomparsa del lamento, attribuito dai Greci al giovane Mennone ucciso sotto le mura di Ilio.
Fu visitato il tempio di Imhotep, architetto e medico, divinizzato: si arrivò infine a Syene (l’attuale Assuan) sede della Cohors equitata I Flavia.
In quell’occasione Adriano promulgò leggi in favore dei liberti condannati ad metalla e fu coniata una moneta rappresentante il Nilo circondato da bambini.
Nel deserto libico l’Imperatore, abile cacciatore, uccise un leone: fu coniata una moneta “Virtuti Augusti”. Dal sangue del leone i poeti videro sbocciare un fiore rosso (verosimilmente la Nymphaea nelumbo già descritta da Erodoto nelle sue Storie, libro II, Egitto).
Fu visitata anche l’isola di Phyle ove sorgeva un tempio di Traiano che ancor oggi possiamo ammirare intatto.
Il ritorno è poco noto, avvenne probabilmente nel marzo del 131, con un’ulteriore visita ad Alessandria.
è questo solo un episodio – certo importante – della vita interessante e complessa di Elio Adriano, un uomo che dette inizio ad un secolo durante il quale l’Uomo respirò, per il clima di pace che l’Imperatore aveva instaurato e che proseguì con gli Antonini a lui succeduti.
Il suo busto mostra un volto al tempo stesso giudizioso e sognatore quale egli effettivamente fu, Principe di vasta cultura e di ampi interessi, forse anticipatore di una visione “cristiana” del mondo, quale sarebbe stata nei secoli successivi, anche se questi corrisponderanno alla caduta di Roma, della quale gli scrittori della Historia Augusta non sembrano neppure considerare la possibilità remota.
Anche noi abbiamo, sia pure in piccola misura, partecipato così ad un evento ed allo spirito di un personaggio, attraverso la magia simpatica, trasferendoci nell’interiore di un Uomo veramente unico, con l’aiuto dei ricordi.
È solo così, seguendo il percorso tracciato dalla Yourcenar, che ci è oggi possibile avvicinarci a questi personaggi, viverne dall’interno i sentimenti, viverli come furono e come pensarono: “anche loro, come noi, sgranocchiarono olive, bevvero vino, si impiastricciarono le dita di miele, lottarono contro il vento pungente, contro la pioggia accecante, l’estate cercarono l’ombra di un platano, gioirono, pensarono, invecchiarono, morirono”.
“Nella mistica terna delle meraviglie la vita poteva ben diventare un poema in un limpido giorno della storia di Roma, al tempo di Adriano” così ci congeda Gregorovius.