Anno 3 - N. 9 / 2004
STORIA DELLA MEDICINA
MEDICINA BIZANTINA
Xenodochi, lebbrosari, ospizi, ospedali.
Un ponte tra l’antichità greca, alessandrina,
romana e la medicina medioevale
di Francesco Piscitello
Il guardiano operato (1438-40)
Fra Angelico
Museo San Marco
Con la deposizione di Romolo Augustolo da parte del barbaro Odoacre cessa definitivamente di esistere l’impero romano d’occidente: è il 28 agosto del 476. Diciassette anni dopo, nel 493, il “rex gentium” - titolo col quale Odoacre aveva insignito sé stesso - viene sconfitto da Teodorico, re degli Ostrogoti.
Ha inizio così nell’occidente mediterraneo un periodo nel quale la scena politica è caratterizzata da un sistema compatto di regni detti “romano-barbarici”.
In oriente le cose stavano assai diversamente. Il sovrano esercitava il suo potere in maniera assoluta, non esistendo un senato geloso dei suoi privilegi (economici, oltre che politici: i senatori romani erano i maggiori latifondisti ed amministravano le loro proprietà in modo quasi feudale), mentre la prospera economia dell’Asia Minore, dell’Egitto, della Siria - fondata soprattutto su di una vasta produzione agricola - convogliava nelle casse imperiali ingenti ricchezze che gli abili amministratori greci al servizio del monarca gestivano con grande oculatezza.
Tutto ciò permise alla monarchia di Costantinopoli, come Bisanzio fu chiamata dopo che Costantino la trasformò nella “nuova Roma”, di reggere assai meglio l’urto barbarico, assimilando le nuove popolazioni ed utilizzandole più che lasciarsene sopraffare, contrastando e controllando efficacemente la loro pressione.
Non stupisce dunque se la tradizione romana trova una spontanea continuità, seppure integrata e talora contaminata dalla cultura dell’oriente mediterraneo, nel mondo bizantino più che nell’occidente romano-barbarico: l’impero bizantino è la continuazione senza cesure dell’impero romano d’oriente, mentre i regni occidentali sono una nuova entità, nata da un trauma che istituisce una discontinuità. Qui la conservazione, in tutto o in parte, dell’antica cultura è un atto della volontà, un frutto di scelte deliberate come quella, illuminata, di Teodorico che nomina come propri consiglieri, uomini del livello di Boezio, Simmaco, Cassiodoro.
La medicina non sfugge a questo destino. Cassiodoro, nell’ultimo periodo della sua vita, si ritira nel monastero detto il “Vivariense”, da lui fondato in Calabria, nel quale la regola non è molto dissimile da quella benedettina la quale prevedeva, fra i compiti principali dei monaci, l’assistenza agli infermi, primo embrione di quella medicina monastica che, accanto a quella laica salernitana (v. EOS n°1), avrebbe costituito un caposaldo dell’assistenza sanitaria nel medioevo che stava cominciando. Nel mondo bizantino invece - in parte per le ragioni sopra dette ed in parte perchè la medicina romana era in realtà, con grande prevalenza, una medicina greca - la continuità si stabilisce in modo più naturale. Oribasio, uno dei principali esponenti della medicina bizantina, visse nel quarto secolo, prima ancora dunque della caduta dell’impero romano d¹occidente.
I QUATTRO GRANDI DELL’ETÀ BIZANTINA
Nato nel 325 a Pergamo, che circa due secoli prima aveva dato i natali a Galeno, Oribasio fu un grande studioso dell’opera del suo concittadino il cui pensiero riunì in una vasta produzione letteraria nella quale spicca un opera che godette di grandissima considerazione ancora durante il rinascimento: le Sinagoghe o Raccolte Mediche, monumentale trattato, ispirato dallo stesso imperatore Giuliano di cui lo studioso di Pergamo fu medico ed amico.
I settanta volumi delle Sinagoghe dove, oltre che a Galeno, attinge anche a Rufo di Efeso, Archigene, Aristotele, Aslepiade, Sorano ed altri, erano per la loro stessa dimensione un’opera di consultazione destinata alle biblioteche più che all’uso quotidiano: a scopi più pratici fu invece destinato un compendio delle Raccolte, la Sinossi scritta per il figlio Eustatio.
Oribasio fu medico di grandissima fama, tanto che l’imperatore Giuliano lo nominò Archiatra Imperiale. In questo ruolo lo accompagnò nei viaggi in Asia Minore, nelle campagne in Gallia e gli fu accanto durante la vittoriosa rivolta contro l’imperatore romano nel 36.
La sua cultura fu grande anche in campo non strettamente medico e le sue memorie sulla vita della corte imperiale, andata perduta al pari di altre opere di carattere letterario, furono una delle fonti della storia di Eunapio. Certamente rivestì un ruolo non secondario nel ripristino del paganesimo come religione di stato operata da Giuliano, con il quale si trovava in grande risonanza intellettuale (2). Queste qualità e la grande fedeltà all’imperatore gli valsero onori e cariche pubbliche come quella di Quaestor di Costantinopoli.
Morì a 78 anni, nel 403.
Nel sesto secolo, il cristiano Ezio di Amida (oggi Diarbakir, in Turchia) godette di grande rinomanza che si estese fino ai posteri tanto che il Boerhaave stimava la sua opera importante per il medico quanto quella di Giustiniano, durante il cui impero visse, per l’uomo di legge.
I Sermoni, l’opera principale di questo compilatore accurato e pedissequo - Galeno è spesso riportato in traduzione letterale - non mancano però di osservazioni personali originali e mostrano non di rado l’influenza del pensiero cristiano. La critica moderna (3,4) è però più severa di quanto non fosse il Boerhaave e reputa Ezio un autore di importanza assai più limitata di quanto non sia quella di Oribasio.
Un posto di maggior rilievo spetta ad Alessandro di Tralles, il medico dell’età bizantina forse più studiato nei tempi moderni. Da Tralles, presso Efeso, dove nacque nel 525 da una potente famiglia, Alessandro si mosse in lungo e in largo nel mondo mediterraneo: Costantinopoli, l’Italia, le Gallie, la Spagna e poi di nuovo Costantinopoli. Pare essere vissuto anche a Roma dove avrebbe esercitato la medicina e, forse, tenuto anche scuola.
Non fu certamente un grande erudito come Oribasio e forse conoscitore dei classici della medicina più modesto dello stesso Ezio: anche le sue conoscenze dell’anatomia e della fisiologia sono alquanto scarse. Ebbe però grande esperienza clinica e fu acuto osservatore: i suoi Libri duodecim de re medica sono ricchi di annotazioni e di osservazioni precise e puntuali. La descrizione della pleurite, alla cui diagnosi e cura è dedicato tutto il libro sesto, è veramente magistrale: Alessandro ne riconosce e descrive con accuratezza sede e natura, sintomi principali e formula i criteri diagnostici differenziali. Un altro tema trattato con grande sapienza è quello delle parassitosi intestinali: riconosce e descrive con grande puntualità ascaridi, tenie, ossiuri e ne prescrive la terapia con semi di melograno, olio di ricino, radice di felce, mostrando grande conoscenza delle proprietà terapeutiche dei semplici.
Tradotto assai presto in latino ed anche in arabo - la sua opera influenzò fortemente il pensiero e la prassi della medicina araba - Alessandro estese il suo magistero fino a tutto il rinascimento. Morì intorno al 605.
L’ultimo, in ordine cronologico, dei grandi medici dell’epoca bizantina fu Paolo di Egina.
Nato in data imprecisata ad Egina, l’isola di fronte ad Atene, la sua vita si estende, all’incirca, tra gli anni 620 e 680. Studia ad Alessandria, viaggia per il Mediterraneo, in Asia Minore, in Grecia e anche a Roma.
Il suo sapere non è però limitato alla sola medicina: enciclopedico, conosce varie scienze ed acquista rinomanza come iatrosofista. Più che per le vicende della sua esistenza - della quale si sa poco o nulla - Paolo è noto per i suoi scritti dei quali ci rimane un trattato, Della Medicina, in sette libri. Si tratta di un’epitome, di grande concisione e chiarezza, di antiche opere classiche arricchite di molte osservazioni personali derivanti dalla pratica clinica. Il magistero di Paolo si esprime con chiarezza nel sesto libro di quest¹opera, dedicato alla chirurgia, il cui prestigio fu tale e di tanta durata che ancora nel 1607 la facoltà medica di Parigi ne richiedeva il commento per accedere all’insegnamento della chirurgia.
Probabilmente fu autore di un trattato sulle malattie ginecologiche, andato perduto, materia nella quale sembra avere avuto grande competenza: fatto insolito per l’epoca, praticava correntemente anche l’ostetricia assistendo le partorienti, una funzione, di regola, affidata alle donne.
MEDICI ED OSPEDALI
A Roma, durante l’epoca repubblicana, la medicina veniva non di rado esercitata da uno schiavo. Lo stesso Antonio Musa, che aveva guarito Augusto e che fu onorato con una statua sul Palatino, era un liberto della famiglia imperiale. Poco a poco, tuttavia, lo stato sociale del medico crebbe fino a quello di civis pleno jure: libero di condizione, rispettato, spesso assai ricco, riceve finalmente anche una precisa personalità giuridica, con norme che ne stabiliscono doveri e diritti, ciò avviene proprio a Bisanzio, con il Corpus Juris di Giustiniano.
Il medico esercitava, in forma privata, la sua libera professione. A questi professionisti era affidato anche il compito dell’insegnamento e della formazione dei nuovi medici. Esistevano anche medici di palazzo, archiatri che, oltre all’esercizio della medicina, rivestivano non di rado cariche pubbliche di grande rilievo, come abbiamo già visto per Oribasio.
La cura del paziente non era soltanto domiciliare. La tradizione cristiana contemplava la cura degli infermi come un alto dovere di carità e gran parte dei monasteri che si andavano moltiplicando durante i primi secoli della nostra era disponeva di un’infermeria, ben distinta dal resto della comunità, dove alcuni monaci - precursori dei monaci infirmarii della tradizione occidentale benedettina - si prendevano cura dei malati. L’entrata nell¹infermeria era interdetta ai sani (salvo ai monaci “ministri degli infermi”) ed i malati avevano addirittura un proprio refettorio - “triclinio degli infermi” - dove ricevevano cibi sostanziosi ed abbondanti in deroga alle regole che prevedevano cibo scarso, assai frugale e l’esercizio del digiuno. Sovente al capezzale degli infermi venivano chiamati medici anche di chiara fama e provenienti da lontano, a testimonianza del fatto che all’ottemperanza al precetto cristiano non si ponevano limiti. Del resto già sant’Elena, madre di Costantino, Costantino stesso, e poi S. Giovanni Crisostomo vescovo d¹Antiochia, S. Giovanni Elemosinaro fondarono xenodochi, ospizi, lebbrosari e la stessa autorità imperiale, soprattutto con Giustiniano, si premurò di dotare la capitale come tutto l’impero di edifici destinati alla cura degli infermi.
L’IMPORTANZA DELLA MEDICINA BIZANTINA
Il periodo della storia della medicina che va sotto il nome di “medicina bizantina” si estende, all’incirca, tra il quarto ed il settimo secolo: un periodo che va da Oribasio a Paolo di Egina. Successivamente, pur continuando ad esistere (cadrà il 29 maggio 1453 con la presa di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani) l’impero bizantino va incontro ad una lenta ma inarrestabile decadenza politica: a questa si accompagna, fatalmente, la decadenza delle arti e della cultura e la medicina prosegue altrove il suo ulteriore sviluppo. A Bisanzio, in realtà, le conoscenze mediche non conobbero un particolare impulso innovativo: anche le grandi figure di medico sopra citate, più che dare un contributo originale al sapere, si limitarono alla conservazione del patrimonio di conoscenze del mondo antico - greco, romano ma, soprattutto alessandrino - ed alla sua accurata sistematizzazione. Fu per il tramite di Bisanzio che il sapere dell’antica medicina potè passare ai monasteri dell’occidente cristiano da un lato ed al prorompente nuovo mondo arabo dall’altro: Albucasis, il grande medico e chirurgo ispano-arabo, fece costante riferimento, nella redazione della sua opera chirurgica Kitab al-Tasrif li man’Ajaza an al-Ta’lif, alla Medicina di Paolo. Assai più innovativa fu invece Bisanzio nella definizione giuridica della figura del medico e della professione sanitaria ma, soprattutto, in quella che chiameremmo oggi “medicina sociale”, principalmente per ciò che riguarda le istituzioni ospedaliere.
I SANTI COSMA E DAMIANO
Fra i primi medici dell’epoca bizantina spetta un posto di particolare rilievo ai santi gemelli Cosma e Damiano, siriaci, che esercitarono la medicina a Egea, in Cilicia, nel terzo secolo come medici “anargiri” - senza denaro - perché non chiedevano compenso per le loro prestazioni: nemmeno per quelle eccezionali come un trapianto di gamba.
Narra la Leggenda Aurea che il guardiano della basilica romana soffrisse per un male inguaribile ad una gamba: i fratelli amputarono il paziente ed applicarono, al posto dell’arto asportato, quello di un etiope morto il giorno prima. Il malato guarì, seppure con una gamba nera.
Oltre che alla medicina i due santi fratelli si dedicarono alla conversione di molte persone al cristianesimo, tanto da meritare il martirio - durante la persecuzione di Diocleziano - ad opera di Lisia, governatore della Cilicia, nel 303. I loro resti sono custoditi sotto l’altare nella cripta dei santi Cosma e Damiano nella via Sacra. Patroni dei medici, farmacisti e barbieri, sono festeggiati il 26 settembre.
IPPIATRIA
Nell’antichità, la medicina veterinaria era poco o nulla praticata, salvo forse l’ostetricia.
Un’eccezione è costituita però dalla cura dei cavalli, l’ippiatria: data l’importanza di questo animale come mezzo di trasporto - le cui funzioni erano quelle che oggi svolgono gli automezzi (autocarri, pullmann, autovetture dall’utilitaria alla Ferrari) - il ruolo dell’ippiatra era più assimilabile a quello del meccanico che a quello del medico veterinario.
In questa disciplina si distinsero, a Bisanzio, Eumelo di Tebe e, soprattutto, Apsisto di Prusa, assai stimato per il suo sapere.
“L’EMPIA RELIGIONE DI CRISTO”
La cura posta dal mondo cristiano all’assistenza al malato era assai apprezzata anche al di fuori del mondo cristiano. Lo stesso Giuliano l’Apostata, in una lettera ad Arsazio, pretore della Galizia, scrive: “E perché non rivolgiamo gli occhi a quelle cose per le quali l’empia religione di Cristo si avvantaggiò, vale a dire alla benignità verso i pellegrini e gli infermi?”
(*) Pazzini A.: STORIA DELL’ARTE SANITARIA - Minerva Medica - Torino, 1973
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