Anno 3 - N. 9 / 2004
ATTUALITÀ DEL PELLEGRINAGGIO
“UN VIAGGIO DI 1000 MIGLIA COMINCIA DA DOVE HAI I PIEDI”
(Lao Tze, Tao Te Ching, 64° capitolo)
Una lettura ecosofica.
di Diego Vaccai
Il monte Kailash
Il tema del pellegrinaggio è al centro di una sempre maggiore attenzione.
Durante il 2004, anno santo giacobeo (1), centinaia di migliaia di pellegrini si sono recati a visitare la tomba dell’apostolo Giacomo, a Compostela, in Galizia, dopo aver percorso a piedi, in parte o totalmente, i 900 km del Camino Real, il tracciato che dal passo di Roncisvalle, riunendo i percorsi che attraversano tutta l’Europa, conduce alla cittadina galiziana.
Durante il 2001, ad Allahabad, nello stato indiano dell’Uttar Pradesh, in occasione del pellegrinaggio induista del Maha (grande) Kumbha Mela (festa del vaso), 80/100 milioni di pellegrini induisti, con una punta di 30 milioni nella sola giornata del 24 gennaio, si sono ritrovati, nelle 8 settimane della festa, sulla spianata sabbiosa antistante la confluenza dei fiumi Yamuna, Gange e Sarasvati, per immergersi nelle acque dei tre fiumi sacri ed ascoltare i sadhu, i sacri uomini dell’India, altrimenti spersi nelle foreste e sulle montagne indiane.
Nel continente americano si assiste, accanto alla tradizionale e sentita partecipazione al pellegrinaggio al santuario di Nostra Signora di Gaudalupe a Città del Messico, alla rinascita dei sacbè, gli antichi sentieri che uniscono i più importanti centri cerimoniali del mondo maya in un vero e proprio cammino sacro, la ruta Maya.
Il monte Kailash nel Tibet occidentale è, per i buddisti e gli induisti, la meta di un pellegrinaggio che riassume, nella sua particolare andatura che alterna ogni due passi l’inginocchiamento, la prostrazione ed ancora l’inginocchiamento, l’intima connessione della preghiera con il camminare.
Nel mondo islamico il pellegrinaggio alla Mecca è da sempre uno dei pilastri della predicazione di Maometto.
Ed oltre all’importanza più strettamente religiosa e confessionale, alle vie di pellegrinaggio viene oggi riconosciuto un ruolo decisivo nella costruzione dell’identità di nazioni e continenti.
Ma per tentare di cogliere i motivi di tale popolarità, si propone del pellegrinaggio e dell’essere pellegrino una lettura da una prospettiva che cerca di superare la singola dimensione antropologica o storica, religiosa o folcloristica, e che riassume tutte quelle istanze - le esigenze di crescita spirituale e di conferimento di maggior senso alla propria vita, di sperimentazione della verità che si cresce solo con l’incontro con l’Altro – da sempre patrimonio dell’Uomo ma che oggi, riaffiorando dopo un lungo periodo di latenza e riproponendosi quale pratica cui dedicare una rinnovata attenzione, caratterizzano sempre più diffusamente l’uomo moderno, indipendentemente dall’ambito culturale di appartenenza.
Si è riconosciuta nella ecosofia la possibilità di disporre di una tale prospettiva.
Il movimento ecosofico (2), nato in Occidente ma presto spintosi ben oltre i suoi confini per diventare fattore aggregante transculturale, riafferma, nel passaggio dal “discorso” sull’oikos (ii) alla sapienza dell’oikos, l’attenzione all’abitare la terra da parte dell’uomo quale capacità di lasciare la porta aperta al divino, di essere itineranti e pellegrini nel mondo, in un rapporto di amicizia e di rispetto con tutto quello che lo circonda.
Il movimento ecosofico fonda un nuovo modo di fare ambientalismo, interrelando indissolubilmente la dignità d’essere del creato (o della natura per chi è laico) con la dignità di essere degli Uomini (3).
Esso pertanto recupera valori centrali alle culture antiche (il ruolo del divino, la dimensione estetica, il senso del mistero e del magico, etc.) affermando nel contempo la necessità di uno sguardo critico sulla modernità e di una sua sovversione radicale tramite l’attribuzione all’uomo del ruolo e della responsabilità che gli deriva dall’essere indissolubilmente legato a tutti gli altri enti della creazione.
Uno degli assunti del movimento ecosofico è quello della Terra quale organismo vivente, che in determinati luoghi può manifestarsi all’uomo e con lui interagire.
È una moderna rivisitazione dell’antica teoria dello spirito dei luoghi, del genius loci, che ha caratterizzato tutte le culture antiche.
Quindi se il pellegrinaggio è l’andare verso un luogo di crescita spirituale, per soddisfare alla necessità di evoluzione spirituale, di ricongiungimento con il divino, ciò può avvenire non solo grazie a quell’andare verso e all’essere in cammino per ma anche per quell’essere in un determinato luogo, aperti e disponibili alla interazione con l’energia della terra, con lo spirito del luogo.
la terra è viva
Nelle culture antiche alla Terra è sempre stata riconosciuta la natura divina.
Dai nativi americani agli aborigeni australiani così come in tutte le grandi religioni, il concetto di Madre Terra ha informato di sé miti e concezioni del mondo, epistemologie e rituali.
Il mondo moderno occidentale, laico e meccanicista, assiste oggi sbalordito al riaffiorare al suo interno di questa visione, presso i suoi stessi epigoni.
Sono le conseguenze, impreviste e stravolgenti, delle “conquiste” scientifiche e tecnologiche frutto del metodo scientifico, il suo strumento di elezione per l’indagine del mondo fenomenico.
È ben impresso nella memoria di tutti lo stupore e l’emozione dato dalle prime immagini della terra vista dallo spazio (l’arancia blu) e la percezione dell’essere tutti legati da un comune destino.
La stessa crisi ambientale ripropone il legame tra tutti gli organismi viventi.
E questo ritorno della Madre Terra trova nella ipotesi di Gaia (2), che considera il pianeta Terra come un unico organismo vivente, capace di autoregolarsi e quindi di rispondere a tutti i fattori, nuovi ed avversi, che ne turbano gli equilibri, una delle sue formulazioni scientifiche.
Del resto l’ipotesi Gaia, una Terra quale organismo vivente, consente di richiamare ed estendere quanto ipotizzato, forse sia pur con finalità metaforiche, da Leonardo da Vinci, supportati in questo dalla stessa evidenza scientifica e sperimentale.
Se per Leonardo, le acque che percorrono la terra sono l’equivalente della circolazione sanguigna nell’organismo umano (3), perché non ipotizzare che le correnti magnetiche sotterranee siano l’equivalente del sistema nervoso umano? E che queste correnti in taluni punti della superficie terrestre circolino in modo più superficiale? E che talvolta ne fuoriescano? O comunque siano più manifeste?
Lo spazio così si differenzia: le sue qualità energetiche e vibrazionali variano puntualmente.
Ecco quindi che quel qui in cui l’energia tellurica si manifesta in modi particolarmente intensi diventa un luogo particolare: un luogo magico, un luogo alto secondo la scuola francese.
E quando questa sua particolarità è individuata e riconosciuta, l’uomo vi edifica templi e santuari. E lo ha sempre fatto. Che fossero incisioni di graffiti e pietre allineate o piramidi, cattedrali e moschee, l’uomo ha voluto così garantirsi la possibilità di godere, in qualità di pellegrino (e non certo di turista!) e rispettando un determinato rituale, del miglior rapporto con il divino là dove questo si è manifestato, per poter guarire e crescere spiritualmente, all’interno di un edificio che “ ... come uno strumento musicale capti lo spirito del luogo, lo trasformi in vibrazioni grazie alla sua forma e lo trasmetta al mondo ... “ (4).
In questo modo il luogo magico si trasforma in un luogo sacro, in cui il singolo individuo può entrare in contatto con il divino ed averne un aiuto alla sua evoluzione, alla sua crescita.
Così, da un punto di vista antropologico, la sacralizzazione dello spazio porta alla estrazione ed alla liberazione di alcuni luoghi dalla contiguità spaziale, ribadendone la differenza rispetto a tutti gli altri (5); in pieno accordo con lo storico delle religioni Mircea Eliade, quando afferma che (6) per l’homo religiosus lo spazio non è omogeneo, la sacralità non è isotropa: l’homo religiosus riconosce luoghi sacri e direzioni sacre.
Ed alla rottura della contiguità spaziale si accompagna, per mezzo della ritualità, la rottura della contiguità temporale, proprio perché l’ora del rito e sempre diversa dall’ora della vita quotidiana (7).
Il luogo sacro, svolgendo quasi una funzione di catalizzatore, consente che spazio e tempo diventino omogenei e reciprocamente sostituibili, permette che lo spazio diventi il “dove” della memoria (8).
Ed è verso un luogo sacro che l’homo religiosus si mette in cammino, facendone meta di pellegrinaggio.
Può quindi essere stimolante leggere le mete dei pellegrinaggi alla luce di questa ipotesi, vedere in esse per l’appunto luoghi alti, su i quali è stato edificato un edificio per il culto che pur mutando nelle sue forme, in relazione al succedersi nei secoli di differenti religiosità, ha mantenuto la sua funzione sacra.
l’acqua
In tutti i pellegrinaggio il tema dell’acqua e del contatto con l’acqua è un elemento centrale, proprio perché rimanda alla Madre Terra, all’archetipo della Gran Madre.
L’acqua della madre Gange, Ganga Ma, purifica dai peccati, ed il pellegrino indù si reca a Varanasi per immergersi.
Il pellegrino dell’islam ritorna dalla Mecca, dopo aver fatto l’hajj, con taniche d’acqua della fonte Zam Zam, nei dintorni della Mecca.
Il pellegrinaggio dei cristiani copti a Lalibela, città santa della chiesa ortodossa etiope, termina con un bagno nelle vasche sottostanti i templi della città che raccolgono le acque del fiume che la attraversa.
Il pellegrinaggio a Lourdes è pensato proprio per bagnarsi alla acqua della fonte sacra della grotta.
Gli antichi pellegrini celti, e successivamente galli e cristiani, raggiungevano da tutta l’Europa la grotta di Chartres, cittadina francese a sud ovest di Parigi, per raggiungere la sorgente sacra.
Il tema dell’acqua è presente anche nell’immagine, spesso indissolubilmente legata al pellegrinaggio, dell’attraversamento di un mare, di un oceano, che assume a sua volta il significato di limite estremo cui arrivare, da valicare.
E nel cammino di Santiago di Compostela, il pellegrino termina la sua avventura arrivando sulle spiagge di Finisterre, per confrontarsi con l’immensità dell’oceano, con il nulla.
Non più timoroso, ma trasformato dall’incontro con il divino, avvenuto tanto durante il pellegrinaggio quanto nella visita alle spoglie di San Giacomo.
E qui prende la conchiglia, la conchiglia di Sant Jacques, la pecten pilgrimea, simbolo del pellegrinaggio.
Che, oltre a testimoniare l’essere arrivato alla meta, l’aver compiuto il pellegrinaggio, ripropone gli utilizzi rituali ed i significati religiosi e simbolici che essa ha avuto presso tutte le tradizioni: la Venere nasce da un pecten; Visnu regge in una delle sua quattro mani uno xancus pyrum; in molte chiese cristiane la valva della tridacna gigans è utilizzata come acquasantiera; presso gli aztechi è simbolo di Tecsiztecatl, il dio della luna e come tale rappresenta la nascita, la generazione, lo sviluppo della vita.
Ed il legame tra l’acqua ed il luogo sacro non è solo simbolico, si potrebbe dire che è fisico, in quanto laddove c’è una manifestazione particolarmente intensa dell’energia di Gaia, l’acqua presenta delle ben precise caratteristiche energetiche e vibrazionali, come se fosse testimone della opera di sacralizzazione del luogo.
conclusioni
In ogni pellegrinaggio, indipendentemente dall’ambiente religioso e culturale e dall’epoca storica, il diventare pellegrino comporta aderire ad un status e farne proprio tanto il rituale quanto la simbologia associata.
L’incertezza del ritorno spinge il pellegrino medioevale a chiudere i conti con la propria vita, a stendere il testamento, trasformando il pellegrinaggio in un vero e proprio spartiacque esistenziale tra il prima ed un dopo.
Il pellegrino moderno, espressione, soprattutto se occidentale, di una cultura sostanzialmente laica, decide più o meno consapevolmente, magari sulla spinta di stimoli profani, di aderire comunque ad una ricerca di religiosità, di incontro con l’Altro, di apertura al divino, ponendosi così nella condizione di un potenziale cambiamento.
Che poi potrà più o meno avvenire e comunque, se avverrà, lo sarà con le proprie modalità e tempi: oggi, così come in epoca medioevale; nelle comunità abramiche come in quelle buddiste o induiste.
Ma comunque andrà, sarà arricchito di una nuova abilità.
Al ritorno, nella quotidianità e nella familiarità del proprio spazio, scoprirà di avere reimparato a vivere nel posto in cui si trova, diventato così un “nativo”, ricco della comprensione che non è mai possibile compiere una distinzione netta tra interno ed esterno e che il territorio attraversato durante il pellegrinaggio non è stato solo una dimensione geografica, ma è stato un territorio interno, un luogo dell’anima.
NOTE AL TESTO
(I) Per disposizione della chiesa cattolica, l'anno santo giacobeo cade quando la ricorrenza di San Giacomo (il 25 luglio) è di domenica.
(II) In questo contesto il termine greco oikos rimanda alla dimora, al luogo in cui cielo e terra si uniscono nell'unità, nel solco della lezione heideggariana e del suo abitare poeticamente la terra.
(III) Questa interrelazione presuppone inevitabilmente una dimensione dialettica, per la quale ogni cosa è in relazione con ogni altra. E' così riproposto un antico sapere, da sempre patrimonio dell'umanità. Valga per tutti l'esempio del Timeo di Platone in cui c'è la canonizzazione della natura come organismo vivente e la dialettica della dimensione ecologica.
Bibliografia
(1) Arne Naess, Ecosofia. Ecologia, società e stili di vita, Como, Red edizioni, 1994.
(2) J. Lovelock, Gaia. Nuove idee sulla ecologia, Torino, Bollati Boringhieri, 1979.
(3) Leonardo da Vinci, "... Adunque potrem dire la terra avere anima vigitativa, e che la sua carne sia la sua terra, li suoi ossi siano li ordini delle collegatione de' sassi di che si compongano le montagnie, il suo tenerume sono li tufi, il suo sangue sono le vene delle acque, il lago del sangue, che sta dintorno al core, è il mare oceano, il suo alitare è il crescere e il dicrescere del sangue pelli polsi e così nella terra è il flusso ed il reflusso del mare, e 'l caldo dell'anima del mondo è il foco, ch'è in fuso per la terra ...", Il codice Leicester, carta 3B, foglio 34 r..
(4) Stefan Bronnle, Die Kraft des Ortes, Niederhausen, Falken Verla, 1998, pag. 124, citato in Paola Giovetti, I luoghi di forza, Roma, ed. Mediterranee, 2002, pag. 102.
(5) Franco La Cecla, Mente locale. Per una antropologia dell'abitare, Milano, ed. Elèuthera, 1993.
(6) Mircea Eliade, Il sacro ed il profano, Torino, Bollati Boringhieri, IIIa ed., 1979.
(7) Franco La Cecla, op. cit.
(8) Franco La Cecla, op. cit.
|