Sulle tracce del Corsiero Napolitano

Il termine corsiero designava, tra la fine del Medio Evo e l'inizio dell'Età Moderna, il cavallo da combattimento…





  Ritratto di un corsiero napolitano del XVII secolo (NobilissimoCoursier Nappolitain ) (da W. Cavendish of Newcastle, La mèthode nouvelle et invention extraordinaire de dresser les chevaux, Anversa, 1658 ) www.cavallodellemurge.it






di  Giuseppe Maria Fraddosio


Tra il secolo XV ed il XVIII, i cavalli corsieri napolitani primeggiarono nel Vecchio Continente per la loro bellezza fatta di eleganza, robustezza, docilità e maneggevolezza. Il loro sangue fu ampiamente infuso in altre razze al fine di ingentilirne le sembianze e di potenziarne le attitudini. Vennero, insomma, ritenuti miglioratori alla stessa stregua dei purosangue orientali e dei cavalli spagnoli.
Il termine corsiero designava, tra la fine del Medio Evo e l'inizio dell'Età Moderna, il cavallo da combattimento, la cui andatura più veloce (il corso, cioè il galoppo) lo differenziava dal portante, ossia dall'ambiatore usato prevalentemente per lunghi e comodi trasferimenti in sella: era, insomma, il nome funzionale della razza.
L'aggettivo napolitano ne indicava l'origine geografica, non limitata esclusivamente a Napoli e dintorni ma estesa, fino al 1860, all'intero Regno di Napoli, comprendente parti delle odierne province di Rieti, di Frosinone e di Latina, nonché gli attuali Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Calabria.
Corsiero napolitano (e non napoletano), dunque, in quanto cavallo storico allevato, principalmente per la guerra, in tutto il Regno di Napoli e da qui esportato, anche come miglioratore, verso il resto dell'Italia e dell'Europa
La selezione di questo pregevole ausiliario dell'uomo d'armi avveniva nei suoi primi tre anni di vita ed era assolutamente naturale: il puledro veniva scelto in base a criteri estetico-funzionali per l'impiego bellico tra i maschi interi che componevano le mandrie, in passato definite razze, di proprietà delle famiglie nobili; quindi si procedeva al suo addestramento in apposite strutture, denominate cavallerizze.
L’arco di tempo in cui la razza assurse al massimo splendore ed alla più vasta notorietà in Europa fu quello compreso tra il XVI secolo ed il XVIII. Non vi fu, allora, monarca o principe che non ambisse ad ospitare nelle proprie scuderie corsieri napolitani morelli, o bai, o grigi, per la guerra, per la caccia, per il tiro delle carrozze. La Corte di Vienna, per esempio, poté meglio insanguare la celebre razza lipizzana dopo essere entrata in possesso, nell’ultimo trentennio del Millesettecento, di due stalloni napolitani (il morello Conversano ed il baio Neapolitano) e di uno (il grigio Maestoso, proveniente dall’allevamento reale di Kladrub in Boemia) di origine napolitano-spagnola.
Oltre alla lipizzana, furono migliorate in età barocca, mediante l’impiego di cavalli padri (stalloni) e di cavalle di corpo (fattrici) napolitani, le razze germaniche di Hannover, Holstein, Oldenburg, Trakehnen e Württemberg, l’olandese del Gelderland, la danese di Frederiksborg e la boema di Kladrub.
Alla razza lipizzana – storicamente appartenuta all’Austria-Ungheria, all’Italia ed alla Iugoslavia – spettò l’eredità più consistente di caratteri tipici dei cavalli napolitani, oggi presenti nelle famiglie maschili dei Conversano, Neapolitano e Maestoso, in quella, di origine danese, dei Pluto ed in quella, di origine Kladruber, dei Favory.
Pasquale Caracciolo, nel suo trattato equestre intitolato La gloria del cavallo (1589), così si espresse: Ma se di tutti i cavalli rarissimi sono quelli, che di tutte le conditioni necessarie adornati, e à tutti gli essercitij siano idonei; di tal lode i Napolitani soli veramente al più generale si trouan degni; perché al caminare, al passeggiare, al trottare, al galoppare, all’armeggiare, al volteggiare, e al cacciare hanno eccellenza, e sono di buona taglia, di molta bellezza, di gran lena, di molta forza, di mirabile leggierezza, di pronto ingegno, e di alto animo; fermi di testa, e piaceuoli di bocca, con ubbidienza incredibile della briglia; e finalmente così docili, e così destri, che maneggiati da un buon Caualiere, si muouono à misura, e quasi ballano …
Nella Novela del coloquio de los perros (1613), il grande Miguel de Cervantes Saavedra richiamò con singolare incisività l’attitudine dei cavalli Napolitani all’apprendimento delle arie dell’alta scuola equestre (Ensenome a hacer corvetas como caballo napolitano…) e la loro versatilità (…viendo mi amo cuan bien sabia imitar el corcel napolitano…).
Il regno di Napoli fu visitato, nel 1789, dal nobile svizzero Carlo Ulisse de Salis Marschlins, uomo erudito, osservatore attento, resocontista scrupoloso. Egli dedicò alcune righe del suo Nel Regno di Napoli. Viaggi attraverso varie province nel 1789 alla descrizione dei cavalli napolitani della razza di famiglia dei duchi di Martina, allevati nella grande masseria di San Basilio, presso Mottola.

Confronto fra i ritratti di un Corsiero Napolitano (sopra) e di un Cavallo Spagnolo (XVII secolo) (da W. Cavendish of Newcastle, La mèthode nouvelle et invention extraordinaire de dresser les chevaux, Anversa, 1658)




I cavalli del Duca sono pregiatissimi, specialmente per la loro forza, la loro gagliardia e la singolare bontà delle loro unghie; qualità queste da attribuirsi probabilmente alla natura forte e secca dei pascoli, ed al lasciare gli animali continuamente all’aperto in ogni stagione, senza rinchiuderli nelle stalle. I puledri tenuti per uso privato, vengono domati ai tre anni, ed i cavalli che non servono per uso del Duca sono venduti verso i quattro anni, o alla fiera di Gravina o a quella di Salerno, dove il prezzo corrente di una buona pariglia di cavalli di quattro anni, senza nessun difetto, varia dai 150 ai 200 ducati. Sino a poco tempo addietro, nessun cavallo veniva castrato, servendo gli stalloni sia pel tiro, sia per cavalcare, e lasciando le giumente esclusivamente per le razze. Adesso però si usa altrimenti, e la cavalleria sarà fornita d’ora in poi di giumente e di cavalli castrati. Anticamente non c’era barone del Regno che non avesse una o più razze di cavalli; ed i cavalli napolitani sono stati sempre e dappertutto tenuti in gran pregio per la loro resistenza e per le altre loro buone qualità, così come erano apprezzati negli antichi tempi.
Nel primo quarto del XIX secolo, Giuseppe Ceva Grimaldi – alto funzionario regio, inviato in Terra d’Otranto da Ferdinando I delle Due Sicilie per ripristinarvi la legalità borbonica dopo il crollo del potere di Gioacchino Murat – così annotò, nel suo Itinerario da Napoli a Lecce, descrivendo la città di Martina: Gli amatori de’ bei cavalli vi troveranno la più bella razza che ve ne abbia nel regno, avanzo di quella tanto celebre di Conversano.
Più avanti, a proposito dello stato dell’agricoltura in quella provincia, aggiunse: Non vi sono razze di cavalli meno che una in Mattino (Matino, n. d. r.), in Martina l’altra; la prima di piccioli e vivaci cavalli , la seconda di poche ma belle giumente nate dalla mescolanza delle razze di Conversano e Martina.
Dunque, le razze cavalline di Terra di Bari (in special modo, quella dei conti di Conversano) e di Terra d’Otranto (in particolare, quella dei duchi di Martina) furono determinanti, sia per qualità sia per quantità, nella formazione della razza napolitana. D'altronde, la continua richiesta di capi nati in quegli allevamenti stimolava le famiglie della nobiltà regnicola ad una sana emulazione in un’attività d’importanza primaria, e per il suo significato economico, e per quello culturale, giacché il grado di civiltà di una nazione risultava anche dalla bontà delle sue produzioni zootecniche e principalmente di quelle equine.
Le fiere annuali di Foggia, Gravina e Salerno servirono a lungo per diffondere nel resto d’Italia e d’Europa i numerosi puledri napolitani ivi trasferiti dalle province più vocate all’allevamento, tenuti allo stato brado o semibrado per aumentarne la resistenza alle malattie, e resi avvezzi ai disagi della transumanza per esaltarne le doti di rusticità e di fondo.
E’ noto che i cavalli del Real sito di Persano transumavano a primavera sui vicini monti Alburni, dove potevano godere, sino all’inizio dell’autunno, di un clima più fresco e più salubre e di pascoli d’alta quota abbondanti di essenze preziose per l’armonico sviluppo dei carusi (puledri nati nell’anno).
Nella grande Regione dei tratturi – comprendente la fascia montuosa appenninica e quella costiera adriatica che dall’Abruzzo scendevano, in direzione Sud-Est, fino a Metaponto ed al Salento, sotto la giurisdizione amministrativa e fiscale della Regia Dogana della mena delle pecore in Puglia – migliaia di cavalli, asini e muli erano trasferiti, insieme con enormi armenti di pecore, capre e vacche, a Maggio sui rilievi abruzzesi, molisani e lucani, nonché sulle alture del Gargano e delle Murge, per rientrare a Settembre nelle masserie o nelle poste di pianura. Dopo il 1860, l'allevamento del cavallo napolitano subì il durissimo contraccolpo dell’annessione delle province borboniche al Regno d'Italia e fu quindi destinato ad un rapido degrado per effetto di scelte di politica economica tanto più insensate in quanto via via più nocive alla reputazione del nostro paese in campo ippotecnico
La realizzazione di un complesso e documentato programma zootecnico per il recupero genealogico e morfologico del Corsiero Napolitano (CN) è stata avviata nel 2004 con l’individuazione, in alcune popolazioni cavalline dell’Italia meridionale continentale, di linee di sangue risalenti a capostipiti di origine autoctona, da incrociare con linee generazionali estere insanguate - soprattutto nei secoli XVII e XVIII - da riproduttori napolitani.
Le razze/popolazioni equine da impiegare durante l’attuazione di tale programma sono:
- quella delle Murge lungo il filo genealogico Nerone-Conte di Conversano, da incrementare il più possibile, anche in consanguineità controllata;
- quella di Esperia, già denominata ciociara;
- quella del Pentro, già detta di Montenero Val Cocchiara;
- quelle di Persano e salernitana;
- quella lipizzana, con riferimento esclusivo alle famiglie Conversano, Maestoso e Neapolitano.

Nell’ambito della razza del Corsiero Napolitano, è stata individuata una prima varietà con chiare connotazioni di carattere storico e geografico: quella del Corsiero Napolitano Conversano (CNC).
Il Corsiero Napolitano Conversano - che ha avuto origine in Puglia e che in tale regione sarà sempre meglio selezionato zootecnicamente e tutelato giuridicamente - si ottiene facendo incrociare stalloni delle Murge della linea Nerone-Conte di Conversano con fattrici lipizzane figlie di stalloni della famiglia Conversano. I prodotti da siffatti incroci (iscrivibili eventualmente anche nel Registro dei Derivati Lipizzani di cui all’articolo 13 del Disciplinare del Libro genealogico del cavallo di razza Lipizzana) possono essere dichiarati idonei all’incrocio con fattrici selezionate delle Murge (purché figlie di stalloni della linea Nerone-Conte di Conversano), se maschi, e con stalloni delle Murge della linea Nerone-Conte di Conversano, se femmine. Ne discenderanno soggetti via via più pregiati perché più vicini alle caratteristiche morfologiche ed attitudinali che resero famosi in tutta Europa, secoli or sono, i cavalli napolitani allevati nella Regione dei tratturi (cioè in Puglia, in Molise ed in Abruzzo), suggestivo scenario della grande transumanza amministrata dalla Dogana della mena delle pecore di Foggia.



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